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Gli esordi di Gigi Proietti, l’Ultimo Mattatore

Gli esordi di Gigi Proietti, l’Ultimo Mattatore

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Dopo il successo riscontrato dagli articoli sugli esordi delle grandi attrici e attori del nostro panorama teatrale e cinematografico, torno a parlarvi della vita da non famosi di altri quattro celebri interpreti italiani.

Mi affascina sempre sapere come era l’esistenza di attrici e attori oggi famosissimi, prima di diventare i divi che noi tutti conosciamo.

Quando pensiamo ai grandi del teatro o del cinema, ci riesce difficile pensare che prima di essere famosi erano persone normali e comuni, esattamente come noi.

È quindi interessante capire come hanno affrontato le difficoltà in ambito professionale, come è successo che dall’essere dei perfetti signor nessuno sono diventati i grandi nomi che noi tutti oggi ammiriamo.

E poi conoscere l’infanzia e l’adolescenza dei grandi attori penso che sia davvero intrigante, perché ci aiuta a vederli più come persone e un po’ meno come divi irraggiungibili. E soprattutto ci aiuta a capire qualcosa in più della loro personalità.

Oggi quindi voglio parlarvi della vita da non famoso di un artista italiano che recentemente se ne è andato, lasciando un grande vuoto in tutti noi, non solo nel teatro e cinema italiani: Gigi Proietti.

La biografia di Gigi Proietti “Tutto sommato, qualcosa mi ricordo”

Per conoscere più da vicino un Gigi Proietti prima di diventare famoso, ho letto tutto d’un fiato la sua bellissima autobiografia Tutto Sommato, qualcosa mi ricordo che vi consiglio caldamente di leggere!

Proietti in questo libro parla della sua famiglia, di quando era un bambino e dei suoi primi amori adolescenziali. Ma parla anche di musica, di cinema e doppiaggio e soprattutto parla di teatro.

Ti permette così di conoscere il clima teatrale italiano degli anni sessanta e settanta, del fervore artistico di quegli anni tanto difficili per il nostro paese.

Proietti quindi propone al lettore un ampio sguardo sulla cultura dell’Italia, con  la consapevolezza e autorevolezza di chi conosce bene quell’ambiente.

Con questo libro, inoltre, non solo conoscerete un Proietti inedito e potrete avere un’idea del panorama culturale italiano del passato, ma vi farete anche delle belle risate!

Proietti infatti parla di se stesso con quella vena comica irresistibile che lo ha sempre contraddistinto, raccontando aneddoti spassosi che lo riguardano in prima persona, senza mai prendersi troppo sul serio.

La famiglia Proietti

Per capire meglio una persona è spesso illuminante conoscere l’ambiente familiare in cui è cresciuta.

Nel caso di Gigi Proietti, è bene parlare quindi dei suoi genitori, dai quali sicuramente ha appreso una grande lezione di vita che credo caratterizzi la sua lunga carriera.

Proietti parla dei suoi genitori con l’affetto mai sopito di un figlio che ammira sua madre e suo padre, nonostante gli inevitabili scontri generazionali che si vivono nelle famiglie.

Nella sua autobiografia, prima di presentarci ufficialmente Romano Proietti e Giovanna Ceci, Gigi Proietti fa una riflessione sul termine povertà che credo sia importante riportare, perché dà una misura del modo di essere di Proietti uomo e del Proietti artista.

L’Ultimo Mattatore infatti avverte il lettore che non deve scandalizzarsi troppo della vita quotidiana di entrambi i suoi genitori che, certamente, non erano nati in famiglie altolocate. La loro era infatti una vita fatta di tanto lavoro, di parsimonia e di piccole gioie.

Entrambi i suoi genitori erano figli di gente di campagna. Ed entrambi hanno iniziato a lavorare fin da bambini. È qualcosa di davvero inusuale, visto con gli occhi di noi nati nella seconda metà del novecento o nei primi anni duemila, in una società in cui esiste la scuola dell’obbligo. Ma i genitori di Proietti sono figli di un’epoca completamente differente alla nostra. E Romano e Giovanna non hanno mai raccontato a Gigi e sua sorella la loro infanzia come qualcosa di straordinariamente eroico, perché a sei o sette anni già lavoravano.

Per Romano e Giovanna quella era l’unica esistenza possibile, per cui hanno tramandato ai loro due figli quanto sia importante lavorare con impegno e onestà.

Una lezione di vita che Proietti ha sempre messo in atto nella sua lunga carriera artistica.

Romano Proietti, come molti ragazzi della sua età, si trasferì a Roma da un paesino dell’Umbria, Porchiano del Monte.

Trovò impiego presso una nobile famiglia romana ufficialmente come portinaio, ufficiosamente era un tuttofare che svolgeva un sacco di mansioni con serietà e impegno.

Come ci racconta Gigi, Romano si ambientò bene nella Città Eterna, finendo per frequentare soprattutto persone come lui, paesani di altre piccole comunità rurali più o meno vicine venuti a Roma per lavoro.

Anche Giovanna Ceci si trasferì a Roma da ragazza, lasciando il paese in cui era nata a cresciuta: San Clemente, poco lontano da Rieti. Nell’Italia dei primi decenni del Novecento, era piuttosto comune che giovani paesani si trasferissero nelle grandi città per vivere e lavorare da soli, si trattava tuttavia di un cambiamento radicale delle loro vite.

Giovanna trovò lavoro come domestica presso una facoltosa famiglia romana e quindi finì per frequentare, nel tempo libero, persone come lei: camerieri, domestici e portinai.

L’incontro tra Romano e Giovanna fu casuale e nacque da un’esigenza dettata dalla moralità di allora (parliamo dell’Italia degli anni trenta), che non vedeva di buon occhio il fatto che una ragazza uscisse da sola con un uomo.

In poche parole, la mamma di Proietti fece da terzo incomodo, per cui il padre di Proietti fu chiamato in soccorso come quarto incomodo. Fu così che un’uscita a due, si trasformò in un’uscita a quattro.

Un’uscita a quattro che segnò la nascita della famiglia Proietti.

E che ci porta direttamente al 2 novembre 1940, il giorno in cui nacque il grande Gigi Proietti.

L’avvento della seconda guerra mondiale

Gigi aveva pochi mesi di vita quando i suoi genitori decisero di scappare da Roma.

La Città Eterna era sorvolata tutti i giorni dagli aerei degli alleati e trovare da mangiare era sempre più difficile.

La famiglia Proietti scappò così a Porchiano del Monte, dai nonni paterni. E qui rimasero per almeno due anni.

Gigi ha ricordi confusi di quel periodo. Si ricorda vagamente immensi paesaggi verdeggianti e boschi. Ma nella sua autobiografia è riuscito a narrarci qualcosa ricorrendo ai racconti di Romano e Giovanna.

Romano Proietti tornò a lavorare come boscaiolo. Un mestiere davvero difficile, che presuppone dover stare via da casa per mesi, lavorare, dormire e mangiare all’aperto, trovando riparo nei tronchi scavati.

Un lavoro che Romano portò avanti senza lamentarsi, anche se pieno di pericoli. Non solo perché correva il rischio di poter essere attaccato dai lupi del bosco.

La famiglia Proietti, infatti, si illuse di scappare dai pericoli della guerra rifugiandosi nel paesino umbro. Ma ignoravano che in quella zona si trovava la base nazista dalla quale passavano tutti i rifornimenti per l’armata del Terzo Reich di Cassino.

E così spesso capitava che i soldati tedeschi si inoltrassero nel bosco o che si spingessero fino in paese.

Una situazione che Romano e Giovanna trovarono pericolosa e intollerabile, tanto da decidere di tornare a Roma.

Tornati nella capitale, avevano perso la loro casa per cui si adattarono andando a vivere in due stanze di un palazzo pericolante in via Annia, poco lontano dal Colosseo.

Probabilmente questi furono gli anni più difficili che la famiglia Proietti si trovò ad affrontare.

Come è facile intuire, Roma era una città martoriata da una guerra devastante, anche se da lì a poco sarebbe finita.

Ma Proietti all’epoca era solo un bambino, perciò riuscì a vivere quegli anni con spensieratezza.

L’Ultimo Mattatore infatti di quel periodo si ricorda soprattutto i soldati americani che dai camion lanciavano cioccolata e sigarette.

Non ha vissuto quel periodo con la consapevoelzza di un adulto che vive sulla sua pelle la difficoltà di ricominciare una vita normale: trovare un lavoro, saperlo mantenere e trovare abbastanza soldi per arrivare alla fine del mese.

Situazione che i suoi genitori vivevano senza lamentarsi, rimboccandosi le maniche.

Lo sfratto

Come detto, il palazzo in cui Gigi e la sua famiglia vissero durante i primissimi anni quaranta era pericolante, così una domenica mattina furono sfrattati con la forza.

Proietti ci racconta le sue sensazioni così:

“Sgomberarono tutto in men che non si dica e mi ritrovai in strada in pigiama, con tutti i vestiti ancora dentro a quei mobili che adesso, tutti ammassati, sbarravano la via ai passanti. In quell’attimo ebbi per la prima volta l’impressione di cosa fosse una scenografia teatrale. I mobili di casa mi sembrarono di colpo una finzione. La credenza, che avevo creduto sempre inamovibile, massiccia e pesantissima, sul retro nascondeva il foglio di compensato di cui era fatta e dei segni tracciati con una matita copiativa e così il settimanile, i comodini. Vidi l’inconsistenza delle testate del letto, dei tavoli, delle sedie, dei materassi arrotolati. Capii che gli oggetti fanno scena solo se disposti a regola d’arte: messi così sembravano di carta”.

Erano anni difficili, dopo una guerra che distrusse gran parte della città, perciò la famiglia Proietti non aveva un altro posto dove andare. O meglio, non aveva un altro posto non abusivo e finirono per andare a vivere, insieme ad un cugino, in uno scantinato di un ex albergo in via Lucullo, una parallela di via Veneto.

Romano e Giovanna, sebbene non fosse certo una situazione idilliaca, furono comunque soddisfatti di quella sistemazione, perché per una famiglia povera come la loro era già un lusso avere un posto dove dormire, un tetto sulla testa e riuscire bene o male ad arrivare alla fine del mese.

Vi rimasero per i successivi tre anni e quando iniziò la ricostruzione e la riqualificazione delle periferie di Roma, finalmente la famiglia Proietti si vide accettare la richiesta per la casa popolare, trasferendosi nel quartiere Tufello.

Gli anni del Tufello

Quelli del Tufello sono forse gli anni dell’infanzia e dell’adolescenza che Proietti si ricorda più volentieri.

Sono anni di spensieratezza, non solo per la sua giovane età, ma anche perché sono gli anni della vera e propria ricostruzione.

Era comune a tutti gli italiani la voglia di ricominciare e perciò si guardava al futuro con ottimismo e con la certezza che ormai il peggio era passato.

Dopo la scuola, il piccolo Gigi Proietti passava la grandissima maggioranza del suo tempo per strada, facendo parte di una compagnia di amici piuttosto numerosa, tanto che nel suo libro la chiama “Lo squadrone del Tufello”. La sua, come le altre del quartiere, era una banda di ragazzini poveri, che spesso passava le giornate a far giochi spericolati se non addirittura pericolosi. Senza contare la grande rivalità tra questi gruppi di ragazzini, che spesso portava a feroci sassaiole!

Proietti per dare una visione più chiara di cosa significava essere bambini al quartiere Tufello nei primi anni cinquanta racconta nel suo “Tutto sommato” un episodio particolare.

Un giorno Gigi rubò cinque lire al mercato. Neanche ricorda bene il motivo di quel suo gesto, ricorda solo la forte adrenalina e il cuore che gli batteva all’impazzata. Poi fece vedere il bottino agli amici dello squadrone del Tufello, che rimasero colpiti, provando per lui un’ammirazione insolita, nominandolo silenziosamente capo del gruppo.

Ma L’Ultimo Mattatore ci confessa che in realtà tutta quella ammirazione non lo fece stare bene per niente e, intimamente, si vergognò molto del furto compiuto.

“Eppure il Tufello era proprio questo: un posto in cui, molto spesso, per capire la differenza fra giusto e sbagliato dovevi prima provare tutte e due le cose.”.

In quel quartiere, come tutti i quartieri popolari dell’Italia degli anni cinquanta, la vita dei ragazzini si divideva in chiesa e oratorio da una parte e la vita per la strada dall’altra. Due mondi contrapposti, abitati da personaggi differenti.

I parroci cercavano in tutti i modi di strappare quei ragazzini delle case popolari dai personaggi pittoreschi della strada ed è proprio grazie all’ambiente della parrocchia che Proietti ha potuto imparare a cantare.

Gigi infatti faceva parte del coro della parrocchia del Tufello, dove prese anche le sue primissime lezioni di musica. Almeno fino a quando la sua bella voce bianca da soprano, sopraggiunta la pubertà, lo abbandonò definitivamente dopo un gran bel febbrone.

Questo tuttavia non significò per Proietti smettere di frequentare la parrocchia. D’altronde, in quegli anni la Chiesa era dappertutto e faceva parte della vita delle persone di tutte le età.

Gigi Proietti quindi, anche se era figlio di un iscritto al Partito Comunista Italiano, divenne un ottimo chierichetto.

E divise la sua vita tra la strada e la parrocchia, fino ad arrivare agli anni delle superiori, dove il rapporto con la musica e il palcoscenico si fece più stretto e intimo.

La passione per la musica…

Promosso alla quinta ginnasio del liceo Augusto, Gigi volle coltivare quel suo germogliante amore per la musica che fece capolino quando era bambino.

D’altronde l’amore per la musica lo si respirava in casa Proietti, grazie soprattutto a papà Romano che, nel tempo libero, si dilettava a suonare il mandolino.

“ … Amava la musica ed era contento di vedere che anche i suoi figli dimostravano i primi segni di quella passione. Mia sorella aveva una fisarmonica con la quale suonava la Mazurka di Migliavacca. E anche io, quando fui promosso in quinta ginnasio mi feci avanti. 

“Perché a me niente?” chiesi. 

Per tutta risposta mi regalarono una chitarraccia con le quali iniziai a frequentare le lezioni con il maestro del dopolavoro ferroviario…” 

Le lezioni di chitarra, almeno inizialmente, non furono così entusiasmanti come l’adolescente Proietti si aspettava che mal sopportava le noiosissime lezioni di solfeggio. Tuttavia Gigi si appassionò a quello strumento così tanto da riuscire a metter su, qualche tempo dopo, la sua prima band: i “Viscounts”!

Il gruppo musicale, che inizialmente era formato da Proietti alla chitarra e da altri due ragazzi al piano e alla batteria, pian piano si allargò. La passione e la voglia di suonare aumentarono di pari passo e così, una volta che si sentirono pronti, andarono alla ricerca di un ingaggio.

Gigi quindi debuttò sul palco per la prima volta come frontman della sua band musicale durante un capodanno di fine anni cinquanta presso un locale chiamato “Gran caffè professionisti” .

Il successo fu tale, che Proietti e la sua band decisero di impegnarsi ancora di più. Iniziarono veramente “a far sul serio”; andando costantemente alla ricerca di ingaggi.

I suoi genitori, tuttavia, non vedevano di buon occhio questa smodata passione per la musica, per cui gli stavano col fiato sul collo temendo che potesse decidere di smettere di studiare da un momento all’altro.

Proietti ricorda gli anni della sua adolescenza come un continuo alternarsi tra i banchi di scuola e gli scontri e gli sfottò con i professori e le ore passate a provare con la sua band e a cercare gli ingaggi.

… e le serate ai Night!

Ii gruppo di Gigi provava in un magazzino di formaggi che apparteneva alla famiglia del contrabbassista.

Il caso volle che nello stesso luogo provasse anche un certo Lello Arzilli. Quest’ultimo, avendo ascoltato un nastro della band di Proietti e rimasto all’improvviso sprovvisto di cantante, chiese a Gigi se gli andasse di sostituire il loro frontman durante una serata che avevano in programma qualche giorno più tardi.

Il nostro accettò e scoprì quindi il mondo delle sale da ballo e dei night club!

Entusiasta della serata, Proietti propose alla sua band di andare a suonare in quei locali, un tempo davvero molto numerosi a Roma.

Ebbe così inizio la sua carriera di musicista e cantante dei svariati Night Club sparsi per Roma. Erani i primi anni sessanta e era piuttosto frequente che i locali offrissero ai propri clienti band che allietavano le serate con musica dal vivo.

Gigi si buttò a capofitto in questa attività, che gli permetteva di avere qualche soldo in tasca, tralasciando un po’ gli studi, anche se per volere dei genitori mai abbandonò la scuola. Ovviamente il guadagno non era enorme ma era comunque abbastanza redditizio perché Gigi e la sua band continuassero a trovare ingaggi e a suonare praticamente ogni sera.

“Al night iniziavamo alle nove di sera e si tirava avanti fino alle cinque del mattino. Posti come il Florida puntavano tutto sull’illuminazione bassa: vedere un night al pomeriggio con le finestra spalancate era terribile, il locale si mostrava in tutta la sua miseria. Invece di notte aveva un certo fascino. Le entreneuses si affollavano  sui divanetti bassi di pelle, adocchiavano i clienti ai tavoli e andavano a intrattenersi in piccole alcove nasconde da tendine.[…] il bello di quelle situazioni un po’ paradossali , è che avendo un pubblico interessato a tutt’altro , potevamo suonare querl che ci passava per la testa e sfogavamo con qualche swing”

Ovviamente non tutti i locali in cui Gigi ha suonato da ragazzo erano night club frequentati solo da single ricchissimi. Come Proietti ci tiene a precisare, con la band andò a suonare anche in locali notturni di altro spessore, grazie ai quali ha potuto conoscere persone creative e veri e propri artisti, quali pittori, cantanti e altri musicisti.

Quel che è certo, è che il periodo delle serate ai night club fu un periodo segnato da una vita un po’ sregolata, circondato com’era, dati gli ambienti in cui si esibiva, da gente che voleva divertirsi.

Solo qualche anno più tardi, quando decise di rimettersi a studiare con maggior impegno, tornò a suonare in luoghi a lui più familiari, come le sale da ballo, in cui la band smetteva di esibirsi intorno a mezzanotte.

Ed è proprio in un locale del genere, che conobbe la donna che sarà la sua compagna per tutta la vita: una graziosa guida turistica svedese, Sagitta Atler.

L’incontro con il Teatro

Gigi, come forse si può intuire, non era un grande studioso.

D’altronde la sua band musicale lo distraeva molto dai libri, quindi in cuor suo il Proietti fresco di diploma avrebbe sicuramente evitato di proseguire gli studi.

Ma per volere dei genitori, suo malgrado l’Ultimo Mattatore si iscrisse all’università, iniziando così il corso di laurea in Giurisprudenza.

La sua vocazione per la legge era talmente ai minimi livelli, che ciò che Proietti ricorda maggiormente degli anni all’università sono le tantissime nuove conoscenze e amicizie che è riuscito a fare.

Il giovane Gigi infatti frequentava ben poco i corsi di giurisprudenza e l’università era soprattutto un ottimo modo con cui riusciva a tenere a bada sia i genitori, che la sua insaziabile curiosità, attraverso la frequentazione di svariati corsi extrauniversitari:

“… ogni volta che vedevo un annuncio nella bacheca degli studenti mi ci fiondavo. Il muro era pieno di foglietti svolazzanti, io li spulciavo uno dopo l’altro avidamente e lasciavo il mio nome dappertutto. Corso di ceramica creativa? Sono creativo, mi ci iscrivo. Corso di Basket? Sono alto, ecchime! Corso di respirazione meditativa? La mente ce l’ho, i polmoni pure, ci vado subito.”

Il caso volle che, proprio grazie a questa sua inesauribile voglia di sapere e conoscere cose nuove, un giorno Proietti scrisse il proprio nome nella lista delle adesioni al Cut, il Centro Universitario Teatrale.

Anche in quell’occasione scrisse il proprio nome con la stessa leggerezza con cui si iscriveva a qualsiasi corso extrauniversitario, ignorando che in realtà quella sia stata la scelta che avrebbe cambiato radicalmente la sua vita.

Come lo stesso Proietti tiene a precisare nella sua biografia, si iscrisse al Cut più per gioco, sebbene avesse comunque l’impressione che si trattasse di un corso extrauniversitario impegnativo, avendo sentito dire che “a valutare i provini c’era gente seria, attori e attrici importanti”.

L’incontro con il teatro fu quindi fortuito, avvenuto per caso.

Proietti, infatti, non conosceva niente di teatro, perfino gli autori più celebri come Shakespeare e Brecht per il Gigi ventenne erano dei nomi altisonanti ma sconosciuti.

Eppure, nonostante andasse incontro ad un mondo per lui inesplorato, il piccolo teatro dell’Ateneo esercitò sul giovane Gigi un fascino irresistibile. È infatti con le seguenti parole che Proietti racconta il giorno del suo provino al Cut:

“… Si lavorava in un piccolo teatro, l’Ateneo, pochi posti e palco minuscolo, eppure su di me esercitava un grande fascino. Mi fece da subito una forte impressione. Vidi le poltrone, i membri della commissione seduti a guardarmi, le quinte alle mie spalle. Ne rimasi ammaliato, ma fui subito a mio agio” 

Il provino per il Cut andò così bene che gli insegnanti decisero di inserire Proietti nella classe degli attori e delle attrici più esperti, invece che in quella dei principianti.

Un’ottima notizia, che però Gigi non accolse con chissà quale grande entusiasmo.

Per lui il teatro non era ancora la vocazione che invece poi è diventata per il Proietti più adulto.

A quell’epoca la sua priorità era non avere nessuna priorità, ma piuttosto provare a cimentarsi in più attività contemporaneamente.

L’importante  era provare qualcosa di nuovo e, allo stesso tempo, continuare a suonare nei night club con la band.

Nonostante questo, il giovane Proietti si impegnò molto nel teatro nei successivi due anni al cut, studiando ed esercitandosi di continuo.

D’altronde ebbe degli insegnanti davvero notevoli, tra cui il grande Giancarlo Cobelli, col quale ha potuto imparare tantissime cose sul mimo, la gestualità e il linguaggio del corpo in scena.

Tuttavia, nonostante le interessanti ore di lezione e l’impegno che comunque Proietti metteva in atto sia fuori la scena che sul palco, la passione per il teatro crebbe nel giovane Gigi senza che quest’ultimo ne fosse pienamente consapevole.

Per questo motivo, finito il corso al Cut, Proietti si allontanò dal teatro, proseguendo gli studi universitari senza troppa convinzione e continuando a suonare nei night club romani, lavoro che pagava bene.

“Non esistono piccole parti, ma solo piccoli attori” 

Il Gigi nazionale tornò a teatro solo dopo tre anni aver finito di frequentare il Cut.

E lo fece proprio grazie al suo maestro Cobelli, il quale lo chiamò per proporgli una piccola parte in un suo spettacolo, in cui era richiesto saper recitare e suonare uno strumento.

Proietti inizialmente neanche voleva accettare la parte, tanto era scettico. Senza considerare che ormai come musicista aveva una carriera avviata e suonando la sera nei night club riusciva a guadagnare bene.

Ma la passione per il teatro aveva messo radici nel suo animo, per cui alla fine si lasciò convincere da Cobelli.

Proietti ebbe così il suo primo ruolo in uno spettacolo teatrale: il “can can degli italiani” scritto da Flaiano, Arbasino e Vollaro.

Certo, la sua era una piccola parte, ma segnò comunque l’esordio di una grande e meravigliosa carriera d’attore.

A riprova del fatto che, come insegna Stanislavskij “non esistono piccole parti, ma solo piccoli attori”.

Non passò troppo tempo, che Gigi si sentì nuovamente telefonare da Giancarlo Cobelli:

“Gigi stavolta non ti do neanche il tempo di riflettere.” mi disse.

“Gianca’, ma tu lo sai” cercai di contenerlo, “io ho il gruppo”.

“Diecimila lire a serata”

“Quanno cominciamo?” “

Stavolta Cobelli riuscì a inserire Proietti in un progetto importante: una tournée degli “Uccelli” di Aristofane nei teatri antichi. Gigi avrebbe dovuto far parte del coro della commedia che lo stesso Cobelli dirigeva.

Si trattava di una ghiotta occasione, poiché nell’Italia dei primi anni sessanta le amministrazioni comunali che avevano nei loro territori dei teatri antichi organizzavano ogni estate rassegne di teatro antico.

E per gli interpreti e gli artisti coinvolti queste rassegne rappresentavano fonti di guadagno davvero importanti.

Ma per Proietti gli “Uccelli” furono una doppia occasione ghiotta. Il caso volle infatti che uno degli interpreti principali abbandonò il progetto poco prima della prima.

Il regista, Giuseppe De Martino, decise quindi di sostituirlo proprio con Gigi Proietti, impressionato soprattutto dalle sue doti canore, visto che la parte richiedeva anche saper cantare.

Questa è stata la sua prima parte da protagonista, in un progetto teatrale importante e remunerativo.

Fu proprio dopo questa tournée che Proietti non vide più il teatro e la recitazione solo come un passatempo, ma come una  potenziale fonte di guadagno.

Certo, in questi anni ancora non si dedicava alla professione d’attore anima e corpo, avendo premura di portare avanti anche la sua carriera come musicista, tuttavia certamente l’interesse per giurisprudenza venne sempre meno.

L’esperienza al gruppo 101

Gli anni sessanta sono segnati anche da svariate esperienze lavorative nel cosiddetto teatro d’avanguardia.

Un amico di Proietti, il regista Antonio Calenda, lo invitò infatti a far parte del suo gruppo di teatro sperimentale, il “Gruppo 101”.

Grazie alla sua innata curiosità e voglia di conoscere, non si fece sfuggire l’occasione di approcciare ad un teatro tanto nuovo e diverso da quello che aveva fatto fino a quel momento.

E così, nei primi anni sessanta, Gigi Proietti si ritrovò a calcare il palco assieme ad attori e attrici oggi celebri, come Piera Degli Esposti, portando in scena un teatro d’avanguardia che lo affascinava moltissimo. L’Ultimo Mattatore in quel periodo ebbe modo di approfondire o di conoscere autori delle avanguardie storiche, come Louis Aragon, Francis Picabia e Tristan Tzara.

Il “Gruppo 101”  portava avanti un teatro che si scontrava con il teatro imperante di quegli anni, tutto concentrato su una recitazione naturalistica e regolato da una dizione davvero rigida.

Al “Gruppo 101” l’elemento comunicativo predominante era il gesto, più che la parola. E la musica. Ma Calenda e i suoi compagni fondavano il loro lavoro teatrale sperimentale anche sullo scardinamento e lo smontaggio dei classici, per darne una lettura inusuale, spiazzante e assurda.

Proietti ha un ricordo felice della sua esperienza al Gruppo 101, in cui potè sperimentare forme nuove di linguaggio teatrale. D’altronde gli anni sessanta sono stati per il nostro paese anni di profondi cambiamenti e di innovazione, che si riflettevano su svariati aspetti della cultura e dell’arte italiani.

Tuttavia, Proietti si è sempre rammaricato del fatto che in quegli anni vivesse il teatro con una visione fin troppo rigida. Una visione fatta di contrasti, dove tutto ciò che non era sperimentale e “proletario” allora era borghese, convenzionale, tradizionale e perciò da buttare perchè commerciale.

Era, insomma, un po’ uno snob e credeva che solo il suo gruppo teatrale facesse del vero teatro alternativo e d’avanguardia.

Ciò che però colpisce di quel periodo, è che proprio attraverso il teatro, questi gruppi di attori, drammaturghi e registi portavano avanti i loro pensieri, le loro convinzioni e i loro messaggi in maniera ben più significativa di quanto si faccia oggi.

Negli anni sessanta, in Italia, fare teatro sperimentale non significava solamente portare in scena i propri spettacoli, ma significava anche creare dei dibattiti con gli spettatori, a sipario calato. L’obiettivo dei vari gruppi di teatro d’avanguardia era quella di “creare un circuito alternativo” in cui tutti gli interessi portati avanti dalle compagnie in questione potessero “formare un’idea politica univoca”.

Spesso questi dibattiti a fine spettacolo erano occasione di rispettosi scambi di opinione, dove chiunque poteva parlare e dire la propria.

A volte però il dibattito tra artisti e spettatori poteva anche diventare scontro violento. E a volte risultava addirittura stravagante e bizzarro, come lo stesso Proietti ci racconta:

Ricordo che una volta eravamo a Cerignola, dove avevamo portato in scena il “Dio Kurt”, e Alberto Moravia, l’autore, era in sala con noi.  […] A fine serata partì l’immancabile dibattito e, ovviamente, quasi tutte le domande erano rivolte a lui. Lo sanno in pochi, ma Moravia era un po’ sordo e quindi Calenda gli si era seduto accantro per ripetergli all’orecchio le domande dal pubblico. Qualcuno dalla platea trovò strana la cosa e cominciò a gridare che si stava facendo suggerire le risposte. Qualche compagno più rissoso gli diede corda e in breve tutto il pubblico si mise a insultare Moravia, il quale ormai non aveva più bisogno dell’assistente per sentire le battute ironiche che gli lanciavano. Aveva già passato i sessanta, ma non si tirò indietro. Si tolse la giacca, arrotolò le maniche della camicia e urlò all’intera sala: “Fatevi sotto! Forza!”.

Anche all’interno di questo gruppo teatrale, Proietti ha fatto la cosiddetta gavetta, ricoprendo inizialmente piccoli ruoli. Ma al nostro Ultimo Mattatore non importava il numero di battute del proprio personaggio, importava solamente riuscire a fare bene lo spettacolo perché credeva fermamente in quello che faceva, nella missione che il Gruppo 101 si era dato. E perciò si impegnava con tutto se stesso, in maniera instancabile, dando sempre il meglio di sè ad ogni messinscena e ad ogni replica.

Impegno che Calenda, il direttore del Gruppo 101 seppe ripagare, facendone uno dei protagonisti dello spettacolo di Moravia, “il dio Kurt” che andò in scena nel 1968.

Probabilmente è stata proprio l’esperienza con “il dio Kurt” che Proietti acquistò sempre maggior sicurezza di sé e delle proprie capacità, ritrovandosi sempre più spesso a ricoprire ruoli importanti, anche al di fuori del circuito del teatro sperimentale.

Non solo teatro, ma anche tv cinema e doppiaggio

Ma Gigi non si limitò a far solo teatro. Proprio grazie alla sua grande voglia di conoscere e fare cose nuove, negli anni sessanta iniziò a lavorare anche nella televisione, nel doppiaggio e nel cinema.

Nell’ambiente cinematografico dapprima ricoprì ruoli piccoli o comunque secondari, riuscendo comunque a farsi notare, tanto da avere l’occasione di lavorare con il celebre Tinto Brass.

Un regista che piaceva particolarmente a Gigi, per quel suo modo di fare cinema diverso, in linea con il teatro d’avanguardia che praticava con Calenda e gli artisti del Gruppo 101.

Tinto Brass ebbe modo di apprezzarlo nella miniserie televisiva “Circolo Pickwick” dove fu diretto da Ugo Gregoretti.

Il regista, infatti, rimase colpito dall’interpretazione di Proietti che, seppur stesse lavorando in un prodotto televisivo destinato al grande pubblico, lasciava trapelare un tipo di recitazione anticonvenzionale. Brass riteneva Gigi quindi un interprete ideale per i suoi progetti cinematografici.

Gigi ricorda con piacere le occasioni di lavoro avute con Tinto Brass, di cui ammirava fortemente lo stile e il linguaggio cinematografico estremi.

Le pellicole a cui partecipò furono “L’urlo” e “Dropout”, in cui Tinto Brass portò avanti un cinema sperimentale e visionario. Furono film che ebbero una vita difficile, poco successo al botteghino e forti problemi con la censura. Ma che rappresentano per Gigi alcune delle esperienze di lavoro più soddisfacenti di tutta la sua carriera.

L’improvviso successo: “Alleluja brava gente!”

Quel che è certo, è che Proietti, alla fine degli anni sessanta, seppur avesse dato prova della sua grande bravura ed ecletticità, ancora non aveva avuto la cosiddetta “parte giusta”. Ancora il grande pubblico non si era accorto di lui.

È stato forse il destino a far decidere a Calenda di mettere in scena alcuni degli spettacoli del Gruppo 101 al Teatro Stabile de L’Aquila.

Una scelta insolita per un gruppo di teatro sperimentale.

Una scelta certamente curiosa che destò l’interesse di tantissime persone, che accorsero a L’Aquila anche da Roma per vedere gli spettacoli del “Gruppo 101”.

Tra queste persone c’erano anche “due insospettabili personaggi… gli autori delle commedie musicali più famose di sempre: Piero Garinei e Sandro Giovannini”.

Garinei e Giovannini rappresentavano un tipo di teatro decisamente più commerciale. Un tipo di teatro che, in quel periodo, Proietti detestava poiché antitesi di quel teatro d’avanguardia che frequentava con tanto impegno e coraggio.

Ma Garinei e Giovannini, dopo la replica dell’ “Operetta” al Teatro Stabile de L’Aquila andarono proprio da Proietti, proponendogli un ingaggio che, poi si rivelò essere la sua grande occasione.

Gli proposero la parte di uno dei protagonisti nello spettacolo musicale “Alleluja brava gente”. Per la precisione, gli chiesero di sostituire il grande Domenico Modugno, il quale per un contrattempo dovette rinunciare allo spettacolo e alla tournée all’ultimo momento.

In verità, Proietti non era per niente convinto di quella proposta di lavoro:

“Come?” pensai “Commedia musicale? ma che scherziamo? Mi state prendendo in giro? Io faccio avanguardia! Questa roba è commerciale!” Ma non glielo dissi.

Fortunatamente, Proietti, tornato a casa, soppesò la proposta.

Garinei e Giovannini, dopotutto, gli proponevano un’occasione d’oro per un interprete: poter entrare nel giro del Sistina. Inoltre, in questo modo, avrebbe potuto condividere il palco con l’illustre Renato Rascel, una star che ammirava molto.

Infine, il suo animo da “Artista impegnato” venne rassicurato dal fatto che i due autori musicali gli garantirono che si trattava di un ingaggio breve…

“Modugno tornerà nel giro di qualche giorno” mi dissero “Le ci dia intanto una mano con le ultimissime prove..”

Finii per accettare.

Proietti nella sua autobiografia ci racconta i frenetici giorni delle prove prima del grande debutto al Sistina. Ci racconta di quanto si sentisse un pesce fuor d’acqua. Non solo perché si ritrovò a provare in un teatro decisamente più grande rispetto a quelli in cui era abituato a lavorare. Ma anche e soprattutto per il tipo di teatro che avrebbe dovuto portare in scena. E perciò, sebbene si impegnasse a fondo come era sua consuetudine, si sentiva un alieno e guardava gli altri con sufficienza.

Durante le prove mantenni un fare altero. Mi consideravo un attore del teatro d’avanguardia, intellettuale e di ricerca e guardavo un po’ tutti dall’alto in basso. Avevo fatto Molière, Shakespeare, Moravia, avevo portato in scena testi di Gombrowicz e di Picasso, avevo lavorato su Brecht. Pensavo che non avrei mai calcato un teatro per cantare, quello lo facevo nei night, e fare ridere mi sembrava svilisse il senso stesso del teatro. In poche parole: non avevo capito un cazzo. O, se si preferisce, ero davvero stronzo.

In realtà, mentre le prove si susseguivano, Proietti poco a poco si lasciò conquistare dalla bellezza della commedia musicale. E di pari passo aumentò anche il suo impegno.

Poi arrivò il debutto al Sistina. Proietti divise il palco con attori famosissimi, tra cui Giuditta Saltarini e la straordinaria Mariangela Melato.

E fu così che arrivò il successo immediato e inaspettato di Proietti.

Il cast ricevette un sacco di premi e i vari interpreti finirono sulle copertine di tutti i giornali. Infine furono anche invitati a Canzonissima.

Proietti rimase frastornato da questa improvvisa notorietà: le persone lo riconoscevano per la strada e gli chiedevano gli autografi. Una cosa che, sebbene lo lusingasse, lo spaventò anche.

Mi scoprii fragile, sicuro di non avere le spalle abbastanza larghe per essere un “divo”. Passavo le giornate chiuso in casa, a letto, a chiedermi come fosse accaduto. Anziché montarmi la testa, il successo me l’aveva smontata 

Per nostra fortuna, Gigi Proietti non fu così tanto spaventato dal rinunciare alle scene. Dopo pochi anni, infatti, recitò al fianco del grande Carmelo Bene, divenendone amico ,nello spettacolo “La cena delle beffe”.

Poi il sodalizio con l’amico e scrittore Roberto Lerici segnò l’inizio della stagione di quello che è sicuramente lo spettacolo teatrale di Proietti più famoso di sempre: “A me gli occhi, please”.

E ancora il cinema, stavolta con ruoli da protagonista e la Tv… fino a diventare il Proietti che tutti amiamo e che ricordiamo con grande affetto.

Cosa possiamo imparare dalla storia di Gigi Proietti?

Senza dubbio, Gigi Proietti era un artista pieno di talento, un attore davvero versatile, che riusciva a tenere il palco come pochi altri. Una qualità che sicuramente lo ha aiutato molto nel corso della sua carriera.

Tuttavia sarebbe ingiusto non riconoscergli l’onestà intellettuale,  il grandissimo impegno e l’enorme amore che metteva in tutto quello che faceva.

Proietti, con la storia della sua strabiliante carriera, sembra anche suggerire che è sbagliato rimanere in quella che possiamo chiamare “comfort zone”.

E forse il suo insegnamento più grande si potrebbe riassumere in una semplice esortazione: siate curiosi!

Il segreto del suo successo sta infatti anche in quella sua insaziabile sete di conoscenza, che lo ha portato a cimentarsi in svariate tipologie di teatro, accrescendo così la sua cultura.

E probabilmente essere curiosi, soprattutto in un mondo come quello del teatro e del cinema, è una qualità che può fare la differenza per chi è agli esordi della propria carriera!

In conclusione, sono dell’idea che conoscere la storia della vita e della carriera di Proietti possa davvero essere d’ispirazione a tutti coloro che vogliono avvicinarsi allo scintillante mondo dello spettacolo come interpreti, dando la giusta dose di entusiasmo per affrontare quest’avventura!

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