Siamo arrivati al terzo e ultimo articolo dedicato al metodo di recitazione Stanislavskij.
Nel primo articolo abbiamo indagato sulle motivazioni che hanno portato svariati artisti e critici teatrali a mettere per scritto sistemi di recitazione che disciplinassero i divi dell’Ottocento. Attrici e attori che a causa della loro forte personalità, spesso snaturavano gli spettacoli a cui partecipavano.
Nel secondo articolo abbiamo potuto conoscere un po’ meglio la figura del regista, attore e teorico russo Stanislavskij e il percorso artistico che lo ha portato a formulare il suo famoso metodo di recitazione.
Adesso non ci resta altro che scoprire in cosa consiste il Metodo Stanislavskij.
Ma attenzione, il mio intento non è quello di insegnarvi ad attuare il Metodo Stanislavskij, perché un singolo articolo non può certo sostituirsi ad un articolato corso di recitazione.
L’obiettivo è quello di farvi capire cosa è il Metodo Stanislavskij in maniera il più chiara e semplice possibile.
Il Metodo Stanislavskij vero e proprio
Secondo Stanislavskij, alla base dell’interpretazione di ogni attrice e ogni attore devono esserci due processi fondamentali.
La Personificazione
In questa fase, l’interprete partendo dal rilassamento muscolare arriva allo sviluppo dell’espressività fisica, dell’impostazione della voce, della coerenza delle azioni fisiche e della caratterizzazione esteriore del personaggio
La Reviviscenza nel Metodo Stanislavskij
Questo è un punto fondamentale intorno al quale ruota tutta la preparazione dell’attore nel Metodo Stanislavskij.
Attraverso uno scavo interiore, l’interprete attinge al proprio vissuto, ai propri ricordi ed emozioni.
Poi le riversa nelle circostanze che portano il personaggio ad essere qui ed ora nella situazione rappresentata.
L’attore non deve mai perdere di vista questo aspetto perché se si può prendere in affitto un abito o un oggetto, non è assolutamente possibile prendere in prestito un sentimento.
Se l’attore non sente dentro di sé il personaggio, risulterà per forza di cose forzato e non credibile, costretto probabilmente a ricorrere a dei clichees stereotipati pur di portare un risultato a casa.
Non si tratta più di replicare una parte scritta sul copione, si tratta di viverla.
Le circostanze date
E solo l’immedesimazione può rendere l’idea di verità. È un percorso che può rivelarsi faticoso, perché spesso porta l’interprete a psicanalizzarsi per riportare alla memoria eventi che credeva ormai dimenticati.
Personificazione e reviviscenza devono viaggiare di pari passo.
Se l’attore non ha una preparazione fisica adeguata e non manterrà viva la concentrazione, il risultato sarà scarso.
E il pubblico si renderà inevitabilmente conto che ciò che viene rappresentato è frutto di un lavoro meccanico, inespressivo e impersonale.
Il tutto verrà successivamente completato dal trucco e dal costume, ma nella prima fase del lavoro è necessario che l’attore si metta completamente a nudo.
Per riuscire a sviluppare la reviviscenza agli interpreti è richiesto un lavoro su più fronti.
Partendo da una lettura in solitaria dell’opera e senza perdere mai di vista il tema principale, l’attore può procedere dividendo il testo in piccole sezioni e studiarne i dettagli fino ad arrivare al nucleo della vicenda.
Questo lavoro a cerchi concentrici, fatto di piccoli compiti e super-compito finale (lo spettacolo), gli permetterà di individuare le circostanze date e per ognuna di esse ricercare dentro di sé eventi della vita passata che mettano in circolo le emozioni.
Inoltre puntando di volta in volta su singoli elementi – l’oggetto-punto – all’interno di un misurato cerchio d’attenzione, l’attore riesce ad allenare se stesso ad estraniarsi dal pubblico e concentrarsi sui suoi scopi.
Entrano in gioco tutte quelle domande che caratterizzano il pensiero di Stanislavskij in merito al rapporto Attore-Personaggio:
“Quale è il mio scopo in questa determinata scena?”
“Cosa farei se fossi in questa situazione?”
“Che cosa è capitato prima del mio ingresso sulla scena?”
“Che cosa farò una volta uscito di scena?”
Nel Metodo Stanislavskij tutto quello che l’attore compie sulla scena deve avere uno scopo preciso.
E per poter rispondere in ogni momento a queste domande, l’interprete deve studiare attentamente tutti gli elementi che determinano l’azione, anche quando non è direttamente coinvolto sulla scena.
Solo così sarà in grado di reagire con un’azione reale a circostanze immaginarie date dal testo scritto.
L’immaginazione gioca un ruolo fondamentale perché aiuta l’interprete nel processo creativo. E rinnova continuamente ciò che è stato creato, mantenendo viva la fantasia, l’attenzione e l’osservazione di ciò che circonda l’attore.
È grazie all’immaginazione che l’attore può diventare protagonista di una vita immaginaria e poter dire consapevolmente: “Io sono”.
La memoria emotiva
In supporto all’immaginazione il Metodo Stanislavskij sviluppa la cosiddetta memoria emotiva.
Una volta trovati i punti di contatto tra il proprio vissuto e quello del personaggio, l’attore deve riuscire a memorizzarli per poterli rivivere ad ogni replica e mantenerli sempre vividi.
È così che potrà evitare di ripetere le scene in modo meccanico, perché le sensazioni vissute saranno sempre chiare nella sua mente.
Naturalmente questi aspetti riguardano tutti gli attori che compongono il cast.
Ogni interprete potrà assimilare questi aspetti ,in base alle proprie esperienze e al proprio vissuto in una tensione continua verso lo scopo principale, il buon esito dello spettacolo.
Se anche uno solo di loro perde la concentrazione, la linea di continuità del dramma viene meno e l’incantesimo si spezza.
Ecco perché diventa importante la comunicazione, verbale ma anche visiva, tra gli interpreti.
Nel Metodo Stanislavskij, l’attore deve saper ascoltare se stesso per poter rimanere concentrato ma deve anche saper ascoltare i compagni di viaggio. Deve saper ascoltare le loro sensazioni e le parole che dicono sul palco.
Se tutti rimangono concentrati, anche un momento di disattenzione può essere recuperato evitando di interrompere il flusso dell’energia e dei sentimenti.
Il tempo-ritmo
In questo processo di ascolto, agli artisti è richiesto di prestare attenzione al tempo-ritmo.
Nella vita quotidiana, le azioni che compiamo sono regolate da un tempo-ritmo cui non prestiamo attenzione.
L’attore deve invece essere in grado di sviluppare un metronomo interiore che lo aiuti a trovare il giusto equilibrio tra queste forze.
Nelle opere che vengono portate in scena sono presenti più tempi-ritmi: tra scena e scena, tra un personaggio e l’altro e anche nello stesso personaggio.
I protagonisti di Cechov, ad esempio, mostrano spesso ritmi esteriori lentissimi contrapposti ad una grande agitazione interiore.
Tutti gli attori coinvolti nella messinscena devono essere in grado di individuare il giusto ritmo da tenere, affidandosi alle circostanze date e ai compiti che ognuno di loro deve portare a termine sulla scena.
Solo trovando il giusto equilibrio si potrà ottenere un risultato omogeneo e non discordante.
Il Ribaltamento della Prospettiva: le Azioni Fisiche
Stiamo però arrivando ad un drastico cambio di rotta. Abbiamo detto che Stanislavskij mette continuamente mano al suo Sistema e arrivato negli Anni Trenta rovescia tutti gli insegnamenti adottati fino a quel momento.
Non parla più di vissuto e di emozioni ma al contrario inizierà a scrivere del metodo delle azioni fisiche.
Per quanto efficace, il percorso dal sentimento al gesto non è sempre facile da attuare ed anzi mette gli attori costantemente alla prova.
Del resto lo sappiamo, i sentimenti sono difficili da fissare in modo netto.
Di contro, fissare i gesti e i movimenti risulta più semplice. E in virtù di questo, viene cambiato il modo di costruire il personaggio.
L’importanza dell’Improvvisazione nel Metodo Stanislavskij
In una fase iniziale di creazione, conoscere il testo a memoria diventa paradossalmente ininfluente.
Basta che gli attori conoscano l’intreccio e improvvisare su questa base una serie di azioni.
Azioni fisiche, gesti, movimenti che rimandino a quello che suggerisce il testo: un pianto, un bacio appassionato o quello che la fantasia suggerisce in quel momento.
E le battute? In questa fase, scrive Stanislavskij, non sono richieste.
L’attore potrà improvvisare ma non utilizzare quelle dell’autore.
Solo quando i movimenti saranno ben fissati, solo allora le battute improvvisate verranno sostituite dal testo.
L’allenamento fisico dell’attore
Un pensiero totalmente diverso dagli studi degli anni passati. Adesso è la dimensione fisica che stimola quella spirituale, e non viceversa.
All’attore non è più richiesto che cosa avrebbe detto se si fosse trovato in quella situazione ma quale azione, quale movimento o gesto avrebbe compiuto.
Questo nuovo modo di pensare è sostenuto da appunti e studi che compongono l’ultima parte de “Il lavoro dell’attore su se stesso“ (leggi la nostra recensione qui)
All’allievo è richiesto di allenare il proprio fisico con l’intento non di deformarlo ma correggerlo in vizi di postura e di scioltezza muscolare.
I suoi interpreti devono imparare ad eliminare la tensione. E solo dopo possono lavorare interiormente sulle emozioni, attivando solo i muscoli necessari in una determinata situazione senza sprechi di energie.
Devono ricorrere all’acrobatica per avere prontezza di decisione e scioltezza sulla scena.
Alla danza per rendere precisi i movimenti, raddrizzare la schiena e sciogliere gambe e braccia.
Devono porre attenzione al modo di camminare, assumendo un’andatura il più naturale possibile.
Solo così potranno raggiungere il senso del movimento e sentire dentro l’energia che attraversa tutto il corpo e che finalmente potrà essere liberata sulla scena.
L’uso della voce nel Metodo Stanislavskij
Viene posta grande attenzione all’uso della voce.
L’attore deve esercitare l’apparato respiratorio, avere sempre un’intonazione corretta e una dizione impeccabile.
Deve riuscire a sentire e scandire ogni frase, ogni parola, ogni sillaba sia quando si trova in scena che nella vita di tutti i giorni.
Il tutto deve essere sottolineato da un uso consapevole delle pause.
Le pause, infatti, mettono in risalto le parole più importanti e se ben studiate possono sottolineare il significato interiore delle frasi, dando vita al pensiero e comunicando il sottotesto.
Mai come ora il periodo delle prove assume un ruolo predominante.
Se fino a qualche anno prima Stanislavskij prediligeva un lavoro intimo da parte dell’attore, adesso chiede agli allievi di ritrovarsi in sala.
È importante sia lavorare faticosamente da soli che in gruppo.
L’obiettivo è rendere il processo creativo un momento di ricerca, di sperimentazione, di conoscenza dell’altro. Un’esperienza umana che coinvolge tutti fino ad attribuire al processo creativo valore di per sé, indipendentemente dal risultato spettacolare.
Il lavoro che l’attore compie su di sè non è più visto come un mezzo per soddisfare il super-compito del buon esito dello spettacolo.
Il lavoro dell’attore su se stesso è ora un fine per raggiungere piena consapevolezza di se stessi.

Di Yair Haklai – Opera propria, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=19698525
L’eredità del Metodo Stanislavskij
Un cambio di rotta non indifferente quello operato da Stanislavskij, un tempo incentrato sulle emozioni e negli ultimi anni sui gesti e sugli aspetti più tecnici.
A ben guardare sono però due visioni di un unico pensiero che permette a chi si appresta a studiare il metodo del maestro russo di poter allenare gli attori sotto tutti i punti di vista, quello emotivo e quello tecnico.
Nel 1947 a New York nasce l’Actors’ Studio, diretto per molti anni da Lee Strasberg, che è culla di moltissimi attori hollywoodiani come Al Pacino e Robert De Niro.
La celebre scuola di perfezionamento attoriale farà della recitazione emotiva, spinta allo scavo psicologico del personaggio – e dell’attore, il suo punto di forza.
Sono moltissimi gli attori, allievi o meno dell’Actors’ Studio, che ricercano nell’immedesimazione la chiave per poter entrare in contatto in modo viscerale con il personaggio, arrivando anche a risultati estremi.
Dustin Hoffmann per interpretare il fratello autistico in “Rain Man” è rimasto per settimane a stretto contatto con pazienti affetti da autismo, approfondendone il disturbo e studiandone i comportamenti.
Kate Winslet per interpretare una ex guardia nazista in “The reader” ha dichiarato:
“Ci sono voluti mesi per entrare nel personaggio. E’ stato come riprendersi dopo un grave incidente d’auto e cercare di capire quello che era successo”.
Ne “Il pianista”, Adrien Brody interpreta un pianista ebreo polacco perseguitato dalle SS.
L’attore, che per l’occasione è dimagrito moltissimo e ha interrotto per mesi le relazioni sociali ha dichiarato:
“Questo ruolo ha avuto su di me un effetto molto profondo e mi sono chiesto se avesse avuto effetto sulla mia sanità mentale. Mi sono sentito più vicino alla sofferenza e alla tristezza che da sempre esiste nel mondo”.
Leonardo Di Caprio per “The wolf of Wall Street“, nel quale interpreta la parte dello spregiudicato Jordan Belfort, ha passato diverso tempo con lui, per cercare di poter capire meglio la sua personalità e le sue scelte, oltre ad aver studiato attentamente gli effetti della droga e della dipendenza.
Esempi di questo tipo sono numerosissimi.
Del resto il metodo Stanislavskij è alla base di molti corsi di teatro e cinema improntati alla ricerca e alla scoperta delle mille sfaccettature dei personaggi.
Anche io e Rebecca, abbiamo seguito il Metodo Stanislavskij e la sua ricerca sul personaggio durante i nostri studi di Recitazione. È stato bellissimo ma faticoso: scavare a fondo nel proprio intimo alla ricerca di sé stessi e del personaggio ci ha davvero messe alla prova!
Ed ogni volta che affrontiamo uno spettacolo, prima di approcciare il testo vero e proprio, organizziamo alcune prove per cercare di capire meglio i nostri personaggi.
E ci domandiamo chi stiamo per conoscere, chi stiamo per interpretare, che cosa ha fatto il nostro personaggio prima di arrivare all’interno dell’opera e magari che cosa farà una volta che il copione verrà chiuso e le luci sul palco si spegneranno.
E tu, hai avuto modo di sperimentare il metodo Stanislavskij?
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