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Il Metodo Stanislavskij: l’elaborazione

Il Metodo Stanislavskij: l’elaborazione

Indice dell'articolo

Ben ritrovati lettori! Continuiamo il nostro viaggio alla riscoperta del metodo Stanislavskij, il metodo di recitazione più famoso del mondo! Nell‘articolo precedente a questo, abbiamo parlato di quali sono state le esigenze che hanno portato alla realizzazione della figura del regista.

È infatti dalla consapevolezza che è necessario avere una figura esterna alla messinscena che coordini gli attori, che è nata anche l’esigenza di mettere per scritto sistemi, metodi e suggerimenti sulla recitazione degli interpreti.

Tra coloro che hanno ideato e portato avanti i metodi di recitazione, c’è ovviamente Stanislavskij.

Un artista teatrale russo passato alla storia, che sicuramente avrai sentito nominare qualche volta, e di cui ti parlerò più dettagliatamente in questo articolo.

STANISLAVSKIJ – UNA VITA NELL’ARTE

Nato nel 1863 a Mosca e morto nella stessa città nel 1938 Stanislavskij, nome d’arte di Konstantin Sergeevic Alekseev, dedica tutta la sua vita al teatro.

Attore, regista, critico per tutta l’esistenza sarà ossessionato da una domanda:

Come può l’attore, replicando la propria parte infinite volte, non scadere in ripetizione meccanica di clichès che lo portano inevitabilmente a svuotare di qualsiasi emozione il lavoro portato sulla scena?

Su questo punto lavorerà costantemente mettendo per scritto le sue idee in quello che verrà riconosciuto in tutto il mondo come il Sistema o Metodo di recitazione Stanislavskij.

Insieme all’amico regista e insegnante di teatro Nemirovic Dancenko, nel 1897 fonda il Teatro d’Arte di Mosca

Qui riunisce i suoi attori dilettanti e i migliori allievi della scuola di teatro di Dancenko.

Stanislavskij con l’amico Dancenko. Fonte foto: www.ok.ru
Stanislavskij con l’amico Dancenko. Fonte foto: www.ok.ru

Nel Teatro d’Arte, Stanislavskij inizia a mettere in atto le idee che va lentamente maturando, dando agli allievi disciplina, consapevolezza del proprio corpo e capacità di emozionare.

Vengono messi al bando tutti i vizi tipici degli attori: ritardi, pigrizia, manie di protagonismo.

Seguendo l’insegnamento dei Meininger (di cui ti ho parlato nell’articolo precedente a questo), si rifiutano le gerarchie dei ruoli perché

“non esistono piccole parti, esistono invece piccoli artisti”.

La scelta di lavorare con dei dilettanti non è casuale.

A differenza degli attori di talento pieni di capricci e alla ricerca del pubblico adorante, questi giovani inesperti hanno sete di apprendere e di migliorarsi. E perciò si mettono totalmente a disposizione dei loro maestri.

Dal regista-despota al regista-pedagogo

In questa prima fase di vita del Teatro d’Arte vengono portati in scena testi di carattere storico e di costume che hanno un grande riscontro di pubblico. Nell’allestirli Stanislavskij pone un’attenzione minuziosa alla scenografia, ai costumi, ad un uso puntuale di suoni e luci.

E inserisce in questa orchestrazione gli attori che, nelle sue mani, diventano delle marionette posizionate nello spazio con movimenti ben studiati.

In questo modo Stanislavskij difende in un certo senso i suoi allievi. Conscio delle loro peculiarità, cerca degli escamotage per mascherare i difetti dei suoi interpreti e permette loro di migliorarsi ad ogni replica.

Nelle messinscene di questo periodo, quindi, può capitare di vedere gli attori di Stanislavskij recitare di spalle oppure muoversi sul palco in una studiata penombra anziché in piena luce.

Ben presto però Stanislavskij si convince che questa non sia la via giusta per organizzare il lavoro.

Lui stesso si definirà un regista-despota, una figura onnipotente che piega a suo piacimento i mezzi a disposizione, senza però toccare il cuore dello spettatore.

Arriva a comprendere di non dover sovrastare l’attore. Il regista deve invece aiutare l’attore a esprimersi, rimettendolo al centro della creazione artistica.

Stanislavksij trasforma così il regista-despota in regista-pedagogo.

Il regista-pedagogo, pur rimanendo responsabile dell’allestimento, lascia l’attore (formato da un attento addestramento) libero di esprimere la propria creatività.

L’importanza delle emozioni

Questa convinzione verrà rafforzata dall’incontro con Anton Cechov, drammaturgo innovativo che pone le emozioni al centro della storia.

Nella sua drammaturgia, composta in più occasioni proprio per il Teatro d’Arte, non accadono grandi avvenimenti, i personaggi sono perlopiù statici. Ciò che si muove è nel loro cuore, nelle loro sensazioni.

Il realismo esteriore – fatto di dettagli scenotecnici – messo in atto fino a quel momento non basta più.

Occorre ricreare la vita interiore del personaggio, comprendere la sua esistenza dentro e fuori dal testo scritto.

E’ giunto il momento di lavorare sulle emozioni, in un continuo accordo e scambio di opinioni con gli attori.

La mente di Stanislavskij si mette in movimento.

Per poter raggiungere risultati di alto livello e non scadere di nuovo nel tanto criticato divismo, è necessario aiutare l’attore a scandagliare le proprie emozioni e quelle del personaggio.

È necessario aiutarlo a migliorarsi fisicamente e mentalmente, per poi poter diventare un tutt’uno con la parte assegnatagli, facendo emozionare se stesso e il pubblico.

 

PRIME IDEE PER IL METODO DI RECITAZIONE STANISLAVSKIJ

Stanislavskij mette per scritto le sue idee e ricerche sin dai primi anni del Novecento.

Già nel 1909 nasce una prima versione redatta delle sue ricerche ispirate e sperimentate durante le prove con i suoi allievi. Si tratta di ricerche che Stanislavskij poi metterà in pratica dal 1913, in una serie di laboratori organizzati fuori dal Teatro d’Arte.

Il Metodo Stanislavskij vero e proprio vedrà la luce alcuni anni dopo, in due opere che ancora oggi vengono studiate da allievi di molte scuole di teatro e da attori affermati.

Il primo volume è “Il lavoro dell’attore su se stesso” del 1938, scritto sotto forma di diario da un immaginario attore che frequenta una scuola di teatro.

Il secondo volume è “Il lavoro dell’attore sul personaggio” pubblicato postumo e incompiuto nel 1957.

In questi anni Stanislavskij lavorerà costantemente, mettendo a punto esercitazioni capaci di stimolare le emozioni da provare sulla scena. In questi esercizi l’interprete è invitato ad approfondire – prima ancora del testo scritto – la psicologia del personaggio. Si dovrà quindi trovare le affinità sottese tra il mondo interiore dell’attore e quello del personaggio che vedrà la luce sulla scena.

Se Brecht, ad esempio, nel teatro epico si affida allo straniamento e Diderot nel “Paradosso sull’attore” condanna l’attore che si affida alle proprie emozioni, Stanislavskij al contrario punta al coinvolgimento emotivo dello spettatore.

Il coinvolgimento emotivo è possibile solo quando l’attore vive e si immedesima totalmente nel personaggio, provando davvero i suoi stessi sentimenti.

Ma come è possibile ottenere un risultato di piena compenetrazione tra attore e personaggio?

Stanislavskij prova a metterlo per scritto nel suo Metodo di recitazione.

Il Metodo Stanislavskij non significa regole ferree

Attenzione però: il Maestro russo non vuole che i suoi scritti abbiano la pretesa di sistematicità.  Non rappresentano delle regole fatte e finite.

E non può essere altrimenti, non solo perché il metodo di recitazione Stanislavskij ha a che fare con le emozioni, con qualcosa di intimo e difficile da casellare.

Stanislavskij non smette mai di portare avanti ricerche e ridiscutere le sue idee.

E fino alla fine della sua vita metterà mano a ciò che scrive arrivando perfino a scardinare alcuni degli insegnamenti che aveva messo nero su bianco e difeso strenuamente.

Nel prossimo articolo affronteremo, in maniera dettagliata, in cosa consiste il celebre Metodo di recitazione Stanislavskij.

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Alla prossima!

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