Inizia quest’anno la Terza Edizione del progetto “Monologo del Mese” targato Teatro per Tutti.
Per questo mese vogliamo quindi proporvi uno dei monologhi teatrali più famosi di sempre, il celebre discorso funebre di Marco Antonio nel dramma “Giulio Cesare” di William Shakespeare, composto intorno al 1599 .
Ad interpretare per noi questo bel monologo, l’amico e attore Simone Franchi. Puoi vedere il video della sua interpretazione andando nel Canale Youtube ufficiale di Teatro per Tutti. Se vuoi sfidare Simone e recitare anche tu questo pezzo teatrale, allora accedi al gruppo Facebook “Monologo del Mese”.
Perché Marco Antonio?
La scelta è caduta su Marco Antonio perché, oltre ad essere uno dei personaggi più positivi del dramma romano di Shakespeare, ha in sé anche molti di quegli aspetti tipici del politico. Aspetti che sono rimasti inalterati fino a noi.
Marco Antonio infatti, sebbene sia un militare, è anche e soprattutto un uomo politico che usa la parola e la retorica alla stregua di un’arma con cui sconfiggere i suoi avversari politici.
E il discorso funebre che fa davanti al popolo romano, durante il funerale di Giulio Cesare, ne è una testimonianza.
Chi è Marco Antonio?
Marco Antonio è un militare e un politico amico di Giulio Cesare che, nel corso dell’opera, si mostra essere leale al senatore passato alla storia.
Antonio però non è solamente questo. Essendo un abile politico, sa usare la parola a proprio vantaggio, utilizzandola per i propri fini. È perciò anche un abile manipolatore che, attraverso la retorica, riesce ad avere l’appoggio del popolo romano, in un momento in cui sembrava impossibile che potesse averne.
Prima di continuare, voglio però fare un piccolo passo indietro spiegando brevemente la trama della tragedia.
La trama di “Giulio Cesare”
La trama di questo dramma romano è incentrata sull’assassinio di Giulio Cesare, avvenuto nel 44 a.C. Shakespeare per scrivere la sua tragedia, utilizzò come fonte la traduzione di Sir Thomas North delle “Vite parallele” di Plutarco. Ne consegue che tutti i protagonisti della tragedia sono persone realmente esistite.
Giulio Cesare è il famosissimo generale e senatore romano che, dopo aver sconfitto il tiranno Pompeo, è all’apice del suo successo e viene perciò incoronato Imperatore di Roma.
Giulio Cesare, agli occhi dei suoi oppositori politici, appare come un uomo decisamente troppo ambizioso e il timore più grande è che, con il suo potere, possa mettere a repentaglio la Repubblica di Roma.
Per questo motivo i politici Caio Cassio e Casca decidono che per il bene di Roma (ma soprattutto per il bene loro, visto che hanno l’aspirazione di conquistare il potere) è necessario uccidere Giulio Cesare. Prima di procedere con l’assassinio però, convincono Marco Bruto a partecipare alla congiura, poiché è un uomo politico influente e ben visto dal popolo esattamente come Giulio Cesare.
Bruto, oltre ad essere un senatore, è anche il pupillo di Giulio Cesare. Per questo motivo, inizialmente, è contrario all’uccisione dell’Imperatore. Si lascerà convincere tuttavia dalle parole dei cospiratori che, abilmente e attraverso la retorica, lo convincono che Giulio Cesare potrebbe essere una reale minaccia per la Repubblica. Una minaccia grave e che Bruto non può certo ignorare, essendo un fedele repubblicano.
Allo stesso tempo, Giulio Cesare ignora i vari presagi di morte che gli vengono descritti da un indovino e dalla premurosa moglie Calpurnia, e proprio in nome del ruolo che ricopre, decide di recarsi in Senato durante le famosissime Idi di Marzo. Qui trova la morte, per mano dei cospiratori i quali, subito dopo l’uccisione di Cesare, gridano quello che è un pezzo di retorica forte, di facile presa nei confronti del popolo romano, “Libertà! Liberazione! La tirannia è morta!“
Inutile dire che il popolo romano si fa facilmente convincere dai politici assassini che giustizia sia fatta.
Ma saranno ancora facile preda della retorica durante il rito funebre di Giulio Cesare.
In questa occasione è infatti il leale Marco Antonio ad usar l’arte della parola per ritorcere il popolo contro Bruto e gli altri congiurati. Nel suo famosissimo monologo, Antonio convince i romani della bontà di Giulio Cesare, sfruttando quindi anche il testamento di Cesare stesso in cui nomina propri eredi tutti i cittadini di Roma. Marco Antonio a questo punto della vicenda ha compiuto l’impossibile: è riuscito a conquistare il favore del popolo romano, che ora si scaglia contro i cospiratori.
Scoppia così una furiosa guerra civile e gli assassini di Cesare sono costretti a fuggire a Filippi in Grecia, dove troveranno la morte.
La Retorica, l’Ambizione e il Potere.
Il dramma romano “Giulio Cesare” è un dramma politico.
Tema cardine, che fa da collante in tutta la vicenda, è infatti il Potere. Il Potere Politico, più che Militare.
I personaggi principali della tragedia, siano essi cospiratori di Cesare o suoi alleati, sono innanzitutto dei politici. Politici che agiscono solo in conseguenza o in nome del potere.
Essendo dei senatori e quindi dei politici, è naturale che tutti, nessuno escluso, usano la Retorica e le parole a proprio vantaggio.
Un vantaggio che nasconde neanche troppo velatamente le loro Ambizioni Politiche.
Marco Antonio, quindi, non infiamma il popolo romano durante il funerale di Cesare, solo per sete di Giustizia. Lo fa scientemente e politicamente. In verità lui, assieme a Cesare Ottaviano e Lepido, è deciso a strappare il potere agli assassini di Giulio Cesare. E per far ciò, ha bisogno del sostegno del popolo romano, anche se questo significa far scoppiare una guerra civile.
“Né buoni, né cattivi”
Quello che forse rende particolarmente efficace questo dramma è l’assenza di personaggi principali che siano totalmente positivi o totalmente negativi.
Ogni personaggio è un politico. E forse per loro stessa natura, all’interno della vicenda narrata da Shakespeare, non possono essere solo buoni o solo cattivi.
Sono semplicemente dei politici. E in effetti, questi personaggi sono ambigui ed è difficile incasellarli tra i buoni o i cattivi.
Essendo politici, è fisiologico che le loro azioni siano guidate dall’Ambizione. E l’Ambizione è ambivalente, non è mai solo buona o solo cattiva. La sua caratteristica principale, nel “Giulio Cesare” del Bardo è che fa agire i protagonisti senza alcuno scrupolo, anche quando lo fanno a fin di bene.
È il caso di Antonio, che comunque agisce non solo in base al senso di Giustizia nei confronti di Giulio Cesare, ma anche perché sa benissimo che col favore del popolo romano può conquistare il potere. E poco gli importa se questo significa far scoppiare una guerra civile.
Allo stesso modo agisce Bruto, la cui ambizione politica e personale è mantenere la Repubblica a Roma e magari esserne anche alla guida. E l’uccisione di Giulio Cesare, un uomo che ammira e a cui vuole bene, è perciò una cosa necessaria e da fare.
Il fine giustifica i mezzi. E nessuno dei protagonisti si tira indietro.
Infine, ogni personaggio porta rispetto all’altro, anche nel caso in cui siano avversari. Una caratteristica non da poco, che contribuisce a rendere ambigui tutti i personaggi, che hanno sia luci che ombre.
Il Monologo di Marco Antonio
Come già accennato, il monologo proposto è quello che Marco Antonio pronuncia durante il suo discorso al funerale di Giulio Cesare.
L’improvvisa uccisione di Giulio Cesare è accolta con sopresa, timore e inquietudine dal popolo romano, perciò Caio Cassio e Bruto si affrettano, durante il rito funebre di Cesare, a spiegare le motivazioni dell’assassinio.
Gli spettatori assistono solamente al discorso portato avanti da Bruto, poiché Caio Cassio pronuncia il suo fuori scena, ad un altro gruppo di romani. Il discorso di Bruto, che sa usare abilmente la parola quanto Antonio, riscuote successo e il popolo romano alla fine finisce per convidere l’assassinio perpetrato ai danni del defunto Imperatore.
A questo punto della vicenda, Marco Antonio e i suoi due alleati, Cesare Ottaviano e Lepido, non solo si trovano politicamente in minoranza, ma sembrano mancare anche dell’appoggio dei romani.
Ma Antonio riuscirà a cambiare le sorti, attraverso il suo lungo e accorato discorso funebre a favore di Giulio Cesare.
La sua abilità retorica è indiscutibilmente vincente. Il segreto del successo del discorso di Antonio, sta nel fatto che non parla mai apertamente in modo negativo dei suoi avversari politici, cioè Bruto, Cassio e tutti gli altri cospiratori.
Anzi, più e più volte nel corso del suo discorso parla di Bruto e degli altri come di Uomini d’Onore.
Ne consegue che, almeno inizialmente, il suo non sembri per niente un discorso in difesa di Giulio Cesare. Marco Antonio ha l’abilità di parlare al popolo romano quasi come se fosse super partes e non direttamente coinvolto. Si limita, semplicemente, ad esporre i fatti. Ad esporre cioè, cose realmente accadute e che Cesare ha realmente fatto. Azioni e parole per le quali il popolo romano amava e idolatrava lo stesso Giulio Cesare che, dopo le parole di Bruto, sembrano odiare e disprezzare.
La retorica di Marco Antonio è potente. È una retorica manipolatrice. E quando Marco Antonio, quasi al termine del suo discorso, parla del testamento di Giulio Cesare nel quale è scritto che suoi eredi sono i cittadini romani, il popolo è già dalla sua parte, ed è pronto a combattere al suo fianco contro i cospiratori.
Il Testo del Monologo di Marco Antonio.
Atto Terzo – Scena Seconda
Nobili romani! Amici, concittadini romani! Prestatemi orecchio. Sono venuto a seppellire Cesare, non a farne l’elogio. Il male che un uomo fa, gli sopravvive, il bene, spesso, resta sepolto con le sue ossa. E così sia di Cesare.
Il nobile Bruto vi ha detto che Cesare era ambizioso: se era, ebbe grave colpa; e Cesare l’ha gravemente scontata.
Qui, col beneplacito di Bruto e degli altri – che Bruto è un uomo d’nore, e anche gli altri, tutti uomini d’onore – sono venuto a parlare al funerale di Cesare.
Fu un mio amico, leale e giusto con me.
Ma Bruto dice che era ambizioso: e Bruto è uomo d’onore.
Egli portò un gran numero di prigionieri in Patria, a Roma, che empirono col prezzo del riscatto le casse dell’erario; fu questa, forse, in Cesare ambizione? Quando vedeva piangere un pezzente, Cesare lacrimava: sembrerebbe, l’ambizione, di ben più dura scorza.
Ma Bruto dice – e Bruto è uomo d’onore – che era ambizioso.
Tutti vedeste come per i Lupercali tre volte gli offersi la corona di re ed egli per tre volte la respinse: è ambizione questa?
Eppure Bruto dice che Cesare era ambizioso, e Bruto è, lo sappiamo, un uomo d’onore.
Non parlo io già per contestare quello che Bruto ha detto; sono qui per dire soltanto quello che so. Tutti lo amaste un tempo; e non senza motivo. Quale motivo vi impedisce oggi di piangerlo? O senno,tu sei fuggito tra le bestie brute e gli uomini hanno perduto nil bene dell’intelletto!
Scusate, il mio cuore è lì, con Cesare, in quella salma.; devo interrompermi finché non sia tornato in me.
E tu, come lo faresti?
Il nostro è una sorta di gioco e lo spirito è quello di mettersi a confronto, senza pretese.
Come ripetiamo sempre, non pretendiamo di dirvi che solo le interpretazioni da noi proposte siano quelle giuste.
La recitazione è arte e come tutte le arti è soggettiva. Esistono quindi infinite sfumature da dare a un personaggio o a un monologo.
Perciò, tu come interpreteresti questo monologo di Marco Antonio?
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