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Jacopo Bezzi, il regista oggi e il rischio del declino

Jacopo Bezzi, il regista oggi e il rischio del declino

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Per capire più a fondo il mestiere del regista e il suo ruolo, gli aspetti più affascinanti ma anche quelli più complessi, gli input che stanno alla base della scelta di un attore, intervistiamo il regista Jacopo Bezzi. Direttore artistico de La Compagnia dei Masnadieri di Roma, si è formato prima al Dams di Tor Vergata poi alla prestigiosa Accademia Nazionale d’Arte Drammatica Silvio d’Amico.

Nel corso della sua carriera ha avuto modo di lavorare, tra gli altri, con Lorenzo Salveti, Walter Pagliaro, Maricla Boggio, Luca Ronconi, Domenico Polidoro, Giorgio Barberio Corsetti, Josè Sanchis Sinisterra, Bruce Myers e Lilo Baur.

“Orazio Costa, un faro per i registi e gli attori italiani di intere generazioni”

Partiamo dagli inizi del tuo percorso di regia, maturato all’interno del Dams di Tor Vergata con Walter Pagliaro e con una tesi sul Metodo Mimico di Orazio Costa Giovangigli. Percorso che poi hai proseguito all’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica “Silvio d’Amico”, dove ti diplomi con lo spettacolo I bambini di sale di H. Galindo.

Perché la scelta di questi autori?

“Come sempre, una casualità. Durante un seminario a San Miniato si parlava di H. Galindo, un artista messicano, per molti aspetti simile a Pasolini, che era l’autore verso il quale mi stavo orientando per presentare il lavoro finale in Accademia.

In quel periodo l’attrice Antonella Caron stava traducendo per lui proprio I bambini di sale, che ricordano un po’ le atmosfere pasoliniane… Così nel 2009 ho realizzato questo spettacolo insieme a Francesco Montanari e Davide Giordano.

Riguardo Orazio Costa e la tesi su di lui, è stata determinante la figura di Walter Pagliaro, che quando è venuto ad insegnare in Accademia, mi ha trasmesso la passione per la regia e mi ha convinto ad approfondire il metodo di Orazio Costa, fondato sulla centralità dell’attore.

Costa è stato un punto di riferimento per intere generazioni. Allievo di Silvio d’Amico, è stato lui a formare figure quali Monica Vitti, Nino Manfredi, Vittorio Gassmann, fino all’ultima classe di attori, classe 1990, con Fabrizio Gifuni, Luigi Lo Cascio e Alessio Boni.

Oltre che artista, è stato un grande pedagogo, secondo me non abbastanza valorizzato.

Negli ultimi tempi si stava riscoprendo, soprattutto a Firenze, lo spessore di questa figura, attraverso registi come Mario Missiroli, Gabriele Lavia e Luca Ronconi che è stato suo attore nei primi anni della carriera. Costa è stato infatti un faro per molti registi”.

Cosa ci puoi raccontare a proposito della tua esperienza registica insieme ad Emma Dante, invece?

“Bellissima esperienza.

L’ho conosciuta tra il 2010 e il 2011, periodo in cui lavoravo come acting coach a Roma nell’ambito del progetto di Rai Educational “Atto Unico“, diretto da Stefano Ribaldi.

Per questo progetto erano stati scelti alcuni testi contemporanei tra i quali quello di Emma Dante, Carnezzeria, ed io avevo selezionato insieme al regista tre attori. I suoi interventi durante i lavori sono stati preziosi e penso con nostalgia a quel periodo in cui la Rai valorizzava molto di più il teatro in Tv rispetto ad ora”.

Jacopo Bezzi – photocredit Manuela Giusto

Il declino del ruolo tradizionale del regista nel teatro contemporaneo e l’affermazione del Collettivo

Parliamo ora del ruolo del regista, di questo mestiere, partendo dalla tua esperienza.

Quali sono secondo te le caratteristiche basilari per chi voglia fare regia? Tu sei partito subito dall’idea di fare il regista? Molti lo diventano dopo una più o meno lunga esperienza come attori

“No, io a dire il vero, ho sempre avuto l’intenzione di diventare regista.

Ma il punto di partenza è sempre lo stesso: l’amore per il teatro a tutto tondo, qualsiasi aspetto lo riguardi ti deve affascinare e appassionare.

Non ci si può limitare ad una sola sfera di attività, secondo me. Io mi occupo da sempre anche di disegni e costumi, di luci, sono attore e recito anche in spettacoli della nostra compagnia.

Mi attira la parte artigianale di questo lavoro, che negli ultimi 30 anni ha subito un vero e proprio depauperamento e fa sì che non esista più la figura del capocomico, che seguiva ogni fase del lavoro e si occupava dello spettacolo a 360 gradi.

Dipende tutto dalla riduzione degli investimenti che ha fatto venir meno la figura dei grandi registi che ci sono stati fino a 30 anni fa.

La creazione teatrale oggi è spesso frutto di un collettivo più che di un singolo autore, che si sviluppa in modo totalmente diverso. Sono i cambiamenti del mercato che vedono scomparire i fasti delle epoche passate”.

“Da come l’aspirante attore abita lo spazio scenico si capisce se è portato o no”

Stiamo ancora sul ruolo del regista.

Come fai a capire se un attore/attrice, è portato/a, se ha talento quando fai un provino?

“Come l’attore abita lo spazio; da qui di solito si capisce molto del suo modo di vedere e di vedersi come interprete”.

Veniamo a La Compagnia dei Masnadieri, che hai fondato nel 2007, composta anche questa da ex allievi della Silvio D’Amico e del vostro teatro che è lo Spazio 18b a Roma

“Sì, la compagnia è formata da una decina di attori e attrici che hanno condiviso con noi il percorso nell’Accademia e sono presenti in modo stabile, poi ci sono le collaborazioni esterne.

Insieme a me, nel lavoro e nella vita, c’è Massimo Roberto Beato, che in Accademia è titolare della cattedra di Analisi della drammaturgia presso il Master in drammaturgia e sceneggiatura.

Il nostro teatro, Spazio 18b, che si chiama così per il semplice motivo che è il numero civico dello stabile, è di fatto uno spazio di modeste dimensioni ma ci permette un rapporto più coinvolgente con il pubblico.

Qui organizziamo anche gli spettacoli natalizi, di solito dedicati al genere giallo, con cene con delitto, che hanno sempre un ottimo riscontro di pubblico”.

Il giallo in scena: gli escamotage da non trascurare per una buona riuscita…

A proposito di giallo, tu hai portato in scena alcuni spettacoli ispirati alle opere di Agatha Christie e anche alla sua figura.

Quali sono gli escamotage per creare suspense tra il pubblico?

“Di Agatha Christie abbiamo portato in scena opere liberamente ispirate alla sua vicenda, con Il quaderno perduto di Agatha Christie, scritto da Massimo, sui quaderni perduti della scrittrice che negli ultimi anni, si dice soffrisse di Alzheimer.

Poi Assassinio a casa Christie, Partita a scacchi con delitto e Scena con delitto, tutti con protagonista l’investigatore belga Hercule Poirot.

Si tratta di potpourri di opere sue e proposte, come dicevo prima, soprattutto nel periodo natalizio.

Per portare un giallo in scena ci sono le modalità classiche, per cui gli elementi per individuare il colpevole devono essere forniti in modo furbo, presenti, ma non evidenti.

Ci deve essere sempre il climax che crea la suspense: la luce che salta, la nevicata improvvisa, la doppia identità di un personaggio, ad esempio, oltre ovviamente alle capacità deduttive del detective su dettagli apparentemente insignificanti”.

… e i rischi quando lo spettacolo è una biografia

Molti dei tuoi spettacoli sono dedicati a personaggi famosi: Billie Holiday, Jim Morrison, Edith Piaf, Coco Chanel.

Cosa fare e non fare assolutamente in uno spettacolo biografico?

“La biografia è sempre una sfida, oltre che un piacere, perché c’è sempre il rischio di non uscire dai binari del già detto, soprattutto quando si tratta di personaggi dei quali ormai è stato sviscerato tutto il possibile e immaginabile.

Per questo bisogna esplorare aspetti meno noti del personaggio e cercare i suoi lati più nascosti.

Con Edith Piaf di Federico Malvaldi e Veronica Rivolta, ad esempio, si è riusciti grazie alla componente musicale che permette di uscire dai canoni classici della narrazione”.

I nuovi linguaggi multimediali: l’esperienza del Silent Theatre

Il tuo rapporto con il teatro di tradizione e con i nuovi linguaggi scenici e la sfida della multimedialità

“Un rapporto importante che cerchiamo di bilanciare dando spazio ad entrambi, sia al classico spettacolo di tradizione sia alla contemporaneità, aprendoci alla sperimentazione dei linguaggi tecnologici.

Il videomapping ad esempio si rivela molto efficace per il nostro spazio teatrale, così come la sperimentazione del Silent Theatre, un brand nostro che abbiamo sperimentato durante la pandemia e in cui il pubblico usufruisce dello spettacolo in modo simile ma non uguale alla realtà aumentata.

Allo spettatore vengono date le cuffie poi viene fatto accomodare in sala. Mentre la parte visiva è uguale per tutti, anche per chi assiste allo spettacolo dalla tv o dal pc, solo il pubblico con le cuffie può esperire l’ambientazione sonora. Un’esperienza immersiva che rende lo spettacolo ancora più totalizzante”.

Cover: Partita a scacchi con delitto, regia Jacopo Bezzi – photocredit Manuela Giusto

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