La compagnia teatrale propone un laboratorio per approfondire il tema del corpo e del suoi cambiamenti in relazione a sensazioni sgradevoli
Oggi il nudo a teatro non è più un tabù, ma quando è necessario e quando se ne può fare a meno? Per un attore qual è l’approccio più corretto? In quali situazioni chi recita è più esposto alla sensazione di vergogna?
Teatro per Tutti ne parla con Fabio Buonocore e Wilma, fondatori, insieme a Paolo Olita, nel 2019, della compagnia teatrale di Pisa, Voci Sbagliate.
Un gruppo di artisti impegnati a livello nazionale con spettacoli di teatro-canzone, clownerie e teatro sociale. Tra i tanti spettacoli e iniziative proposti, annoverano anche un laboratorio intitolato Vergogna, dedicato all’espressione teatrale e corporea, che ci permette di affrontare il tema del nudo e del senso di vergogna di fronte al pubblico e agli altri in generale.
La duplice valenza della parola vergogna
Vergogna. Laboratorio di espressione teatrale e corporea a chi è rivolto e quali
finalità ha?
Wilma: “Vergogna è un progetto che nasce come spettacolo, ancora in via di scrittura, che parla di temi difficili e angoscianti, quali lo stupro, l’abuso sui minori, le fratture che si creano nei bambini traumatizzati. Una cosa che mi ha molto interessata è la duplice valenza del termine vergogna, c’è la vergogna come sostantivo, quella che si prova, che spazia dal rossore sulle guance alla paura di parlare, e c’è la vergogna come verbo, cui si potrebbe aggiungere un bel punto esclamativo. La differenza sostanziale sta nel – mi vergogno io – devi vergognarti tu.
Il laboratorio, in collaborazione con Chiara Turelli, che ha studiato danza e teatro danza, è lo studio del corpo e le sue modificazioni tramite emozioni spiacevoli, come si piega un ginocchio quando non vorremmo essere dove siamo? Quante volte grattiamo il collo nelle situazioni di disagio? Come si comportano le spalle quando la mente grida alla protezione? Poi c’è la parte educativa per la scena, perché il laboratorio è aperto a tutti, chiunque voglia farne parte ed abbia piacere di scoprire più cose di sé e condividerle in futuro con un pubblico. Io mi occupo di questo, di sviluppare la parte scenica”.
“Bravo sul palco è chi mette a disposizione le proprie emozioni per il pubblico”
Come può un attore sviluppare al meglio l’espressività legata al proprio corpo
quando sta in scena? Riuscire ad abitare lo spazio scenico con disinvoltura è una
dote innata o si può acquisire con la tecnica e quanto incide in questo il rapporto con
la propria fisicità?
Wilma: “Il corpo anzitutto bisogna sentirlo. Bisogna conoscere le proprie capacità, se mi
piego fin dove arrivo? Se salto, quanto in alto? Si tratta di studio, esercizio, lavoro su se
stessi. Quando non c’è parola e c’è solo corpo, bisogna comporre un discorso fisico,
bisogna disegnare una partitura emotiva con i propri arti, la pancia, il mento.
Io non credo nel talento innato. La pratica e lo studio portano a dei risultati, a volte ci
vogliono mesi per arrivare al punto cui si è mirato, altre volte in un giorno si risolve una
scena. Ma chi è bravo sul palco è chi mette a disposizione le proprie emozioni per il
pubblico, questo non si può insegnare, si può far presente, ma è una scelta personale che
costa, un dono che l’attore fa. Il resto? Fatica.
A proposito, io sono obesa e ho il diabete, niente di tutto questo mi ha mai impedito di
andare in scena, il corpo non è standard, è il nostro, quale che sia, e da questo partiamo
per il nostro viaggio nel teatro. Cosa potrebbe fermarci? La vergogna, appunto.
Per questo chiedo ai laboratoriandi come provano vergogna, cosa li agita, cosa li impedisce.
Se si supera la vergogna, la strada è finalmente in salita e pronta per essere percorsa”.
“Anche il corpo nudo può essere un costume come un altro. La sua oggettificazione sta negli occhi di chi guarda”
Quando secondo voi, può essere utilizzato il nudo a teatro e quando deve essere evitato?
Fabio Buonocore: “Per me il nudo a teatro non è obbligatorio, è una scelta personale, non ho mai
costretto nessuno a stare nudo sul palco. Se usiamo il nudo è perché l’attrice o l’attore
decidono di mettere la propria nudità a servizio del corpo poetico di un’opera.
Il presupposto è che a parer mio non c’è differenza tra l’attore vestito e l’attore nudo perché
il costume è già una nuova pelle con cui il pubblico osserva quel personaggio, a sua volta il
corpo nudo può essere un costume come un altro. C’è sicuramente una differenza importante da cogliere: quella tra nudità e pornografia, spesso il senso comune definisce il corpo nudo come oggetto pornografico. Se l’argomento di una determinata pièce è la pornografia o uno studio su come essa agisce sulla mente del pubblico, possiamo essere d’accordo sul suo utilizzo, altrimenti la pornografia in sé non ci riguarda. D’altronde si potrebbe dire che la definizione di pornografia è l’oggettificazione di un corpo o delle pratiche che esso subisce, quindi sta negli occhi di chi guarda”.
Il prendersi gioco di sé una delle situazioni in cui più spesso anche l’attore può provare vergogna
Oltre al nudo in scena, quale altra condizione può suscitare la sensazione della vergogna in scena per l’attore? Il pianto, la violenza, le parolacce?
Wilma: “Ci sono innumerevoli condizioni che possono suscitare vergogna negli attori: una di
quelle che ho riconosciuto di più nel tempo è insospettabilmente il prendersi gioco di sè.
Molte persone faticano ad andare a costruire qualcosa che faccia traballare l’idea della
dignità che si è creati per se stessi. Le parolacce nel nostro lavoro spesso vengono usate
in maniera ironica, allo stesso tempo la violenza, perché lavoriamo molto con il grottesco:
soprattutto gli attori alle prime armi hanno difficoltà a smettere di esercitare il controllo
quotidiano che tutti mettiamo in atto e mettersi in gioco come messaggeri di ilarità”.
Qual è secondo voi la principale differenza nell’utilizzo del nudo nel teatro rispetto al cinema?
Fabio Buonocore e Wilma: “Il nudo nel cinema è all’interno di un luogo protetto, un set, un insieme di operatori che anche se sconosciuti si trova lì, spesso abitualmente, per compiere il proprio lavoro.
Esistono nel cinema tecniche e trucchi per dare l’idea della nudità senza mostrarla
integralmente. Il teatro mette a disposizione un attore vivo sul palco, senza poter veicolare
appieno lo sguardo dello spettatore. Con l’era digitale una cosa molto pericolosa del cinema
e meno del teatro è che le immagini una volta registrate diventano accessibili a tutto il
mondo virtuale, anche in modo non consono a quello per cui sono state pensate. Questo ci
riconduce all’esperienza intima e suggestiva che il teatro fornisce: un evento che si
manifesta qui ed ora, senza certo negare le fantasie che ogni persona può immaginare”.
Sottosuolo e la creazione di un’attività drammaturgica inversa superando la vergogna e i suoi rischi
Cosa potete raccontarci invece dell’altro laboratorio intitolato Sottosuolo? Anche qui si parla di qualcosa che è legato alla vergogna, ma da una prospettiva diversa e richiama alle Memorie del sottosuolo di Dostoevskij
Fabio Buonocore : “Quella di Dostoevskij è una prospettiva mentalista, psicologica, mentre quella di
Sottosuolo è clinica, psichiatrica. Sottosuolo è sia un percorso laboratoriale, e come tale è
collettivo, sia un’opera di ricerca, con finalità la messinscena di pièce originale, che parte da
un’attività drammaturgica inversa. Mi spiego meglio: un classico iter drammaturgico consiste
nella realizzazione, da parte di un drammaturgo, di un’opera teatrale che un gruppo di attori
e attrici metteranno in scena. Sottosuolo, invece, inizia dalle storie personali dei suoi
partecipanti, spesso storie intime, di cui socialmente si prova vergogna, e il drammaturgo
osservando, dirige generalmente l’improvvisazione, lasciando spazio agli attori/attrici di
correre nell’immaginario. Successivamente realizza la drammaturgia esaltando gli accenni
psicopatologici osservati e amplificandoli, creando quel distacco della realtà, da
quella visione personalista, che possa mettere in pericolo la salute mentale del suo/a
esecutore/trice”.
Cover: photocredit Voci Sbagliate