Ne parliamo con l’attrice, autrice e traduttrice dell’opera di Baum, fondatrice insieme a Luigi De Angelis della compagnia Fanny & Alexander
Un rapporto intrigante, quello tra la fiaba e il teatro, che approfondiamo con Chiara Lagani.
Chiara è un’attrice e autrice di teatro che nel 1992 ha fondato insieme a Luigi De Angelis la compagnia teatrale Fanny & Alexander. Da tempo impegnata nel teatro di ricerca e nell’indagine sull’universo delle fiabe, in particolare quello dello statunitense Lyman Frank Baum, conosciuto per Il meraviglioso mago di Oz pubblicato nel 1900 e diventato una pietra miliare della letteratura per ragazzi.
Ne conosciamo la versione cinematografica più famosa, del 1939, diretta da Victor Flaming e interpretata da Judy Garland, ma forse non tutti sanno che in realtà sono ben 14 i romanzi di Baum dedicati al mondo di Oz, scritti soprattutto per soddisfare la persistente richiesta dei suoi ammiratori.

Il mondo di Oz, 14 libri tradotti dall’inglese per Einaudi
In Italia, è stata proprio Chiara Lagani, nel 2018, ad averli tradotti dall’inglese e pubblicati per la collana I Millenni di Einaudi con il titolo I libri di Oz.
“Ho affrontato la traduzione dei libri nel 2017, che dopo un anno sono stati pubblicati. Essendo attrice, non potevo non portarli anche in scena. Così I libri di Oz sono stati raccontati a teatro, destinati prevalentemente ad un pubblico adulto, sensibile soprattutto all’interpretazione politica dell’opera di Baum.”
Il pubblico sceglie il seguito della storia grazie a un telecomando
“Io però sono cresciuta con le sue fiabe e desideravo poter esprimere quel piacere infantile del saltare da una storia ad un’altra in assoluta libertà. Da qui è scaturita l’idea di realizzare uno spettacolo in cui sono i bambini a scegliere il seguito della storia attraverso i tasti di un telecomando.
È nato così il libro-game Oz, che stiamo portando in scena (Vedi la scheda spettacolo).
Grazie ad una serie di opzioni che vengono date loro, in determinati momenti dello spettacolo, i bambini possono fare delle scelte e votare perché la storia prosegua in un certo modo. Si vota e vince la maggioranza”.
Una modalità conosciuta dalla letteratura come “struttura ad albero”, unita però alle moderne tecnologie che consentono una vera e propria interazione tra lo spettatore e l’attore.
“Un’esperienza coinvolgente per entrambi, dove i bambini sono chiamati ad esprimersi sulle proprie preferenze. Prendendosi al tempo stesso la responsabilità di una decisione che può stravolgere il finale di una storia e così, piacere o dispiacere a qualcun altro in sala.
Per gli attori, invece, si tratta di sapersi adeguare immediatamente alle scelte del pubblico, cambiandosi il costume di scena e sintonizzandosi velocemente sul personaggio e sul contesto che sono stati scelti”.
Una modalità ancora inesplorata nel teatro, tanto da poterla considerare come una tra le più pionieristiche.
“Emozionante ogni volta vivere uno spettacolo che si trasforma nelle nostre mani”
“È stato impegnativo organizzare il libro-game. Non solo dal punto di vista tecnico, ma anche dei contenuti. Sviluppare tutti i possibili seguiti della storia che ho scritto vuol dire realizzare 5 ore di spettacolo. Anche se poi ne andrà in scena solo un’ora e mezza. La fatica non toglie però l’entusiasmo di noi attrici, io e Consuelo Battiston, e di Luigi De Angelis alla regia. Tutte le volte c’è l’emozione di uno spettacolo che si trasforma nelle nostre mani”.

C’è un personaggio di Oz a cui sei particolarmente affezionata?
“Ce ne sono diversi. Mi viene in mente la principessa Langwidere, che invece di cambiare i vestiti cambia ogni giorno la testa, tutti i giorni una diversa. Una figura drammatica, perché non trova mai soddisfazione in nessuna di queste. Un personaggio che si adatta perfettamente alla società di oggi, liquida e senza un’identità. Spesso i bambini, che ne intuiscono l’instabilità, mi chiedono: ‘Ma qual è la sua testa in origine?’”.
La sfida dell’incontro con la diversità nel libro-game Oz
“La bellezza della diversità si scopre proprio attraverso il viaggio che Dorothy fa incontrando tanti personaggi così diversi. Il leone pauroso, lo spaventapasseri che desidera avere un cervello, la donna di latta senza cuore. A questo proposito, però, vorrei far notare che il pensiero di Baum è spesso reazionario. Basti pensare al personaggio dell’indiano, che lui, figlio della sua epoca, considera un nemico perché diverso. Questo suo atteggiamento traspare nel libro e viene recepito anche dai lettori/spettatori. Noi tra le opzioni di scelta avevamo inserito anche quella di farlo uscire dalla storia. Molti bambini lo hanno fatto, anche se dopo si sono pentiti”.
“Non credo nel teatro paternalistico”
Ve lo hanno raccontato loro dopo?
“Sì, esatto. Alla fine di ogni spettacolo, che si tiene al pomeriggio, organizziamo degli incontri con gli spettatori, prevalentemente genitori e bambini. Spieghiamo loro che il rifiuto di un confronto con chi è diverso da noi è senz’altro più facile, ma ci priva della possibilità di fare esperienza di qualcosa che avremmo potuto scoprire e imparare. Scegliendo di farlo uscire dalla storia, lo abbiamo perso per sempre e non sarà possibile tornar indietro perché quello spettacolo è finito.
Molti di loro ci rimangono male. Qualcuno ci ha detto: ma come? È uno spettacolo, dovete far divertire i bambini!
Io credo invece molto in un teatro che sappia far riflettere sulle proprie emozioni e mettersi in discussione. Anche i bambini lo sanno fare. Sono più coinvolti emotivamente perché ancora privi dei filtri, ma questo non significa che non possano essere accompagnati in questo percorso con le opportune modalità. Non credo invece nel teatro paternalistico, moralistico, dove l’adulto rimarca il suo ruolo di superiorità e di guida, facendo sentire ai piccoli che il loro mondo, in fondo, non è cosa da prendere troppo sul serio”.
Alice e Dorothy, due personaggi attraenti perché veri
Tu a che età hai scoperto l’opera di Baum e com’è stato l’approccio?
“Da piccola i miei genitori mi avevano comprato Il meraviglioso mondo di Oz e Alice nel paese delle meraviglie di Lewis Carrol. Erano due edizioni della Bur che tengo ancora come cimeli. Sono due pilastri per me, grazie ai quali ho scoperto nella fiaba un luogo in cui una volta cresciuta sono continuamente ritornata, sotto diverse vesti: da lettrice, da attrice, da autrice, da traduttrice e continua ad affascinarmi, perché fin da subito in questi due personaggi mi ci sono ritrovata e identificata”.
Come dev’essere un personaggio delle fiabe perché i bambini riescano a identificarsi?
“Dev’essere onesto, non deve fingere. L’onestà è alla base della credibilità del personaggio. Alice e Dorothy lo sono entrambi, anche se sono molto diversi tra loro, come lo erano del resto i due scrittori. Di Dorothy, che rispetto ad Alice è più ingenua e spontanea, mi piace il suo struggimento, il suo essere dilaniata tra il Kansas e il mondo fantastico. Di Alice, invece, ammiro la saggezza con cui sa entrare in un mondo violento. Sono guidate da due etiche diverse, ma in comune hanno, appunto, la credibilità. Questo anche i bambini lo avvertono, non hanno paura di scoprire il buio, ma ti chiedono di entrare con te, di essere accompagnati in questa esperienza”.
Oz è un’opera vasta e complessa, con tante chiavi di lettura e moltissimi personaggi e vicende. Sarà difficile fare una selezione tra cosa portare in scena e cosa escludere.
“Altroché. Però ci si affida all’istinto. Ma anche al caso, che non é un male, perché ad un certo punto l’autore capisce che non è tutto nelle sue mani. Anche nel Game di Oz una piccola parte è affidata al caso e lo stesso discorso vale per il drammaturgo. Ad un certo punto la storia che ha scritto inizia a vivere di vita propria. Comprende che non è più lui a scegliere ma viene scelto. Questo è confortante, in un certo senso, ci toglie un po’ di responsabilità e magari non vengono rimorsi”.

Sylvie e Bruno, spettacolo ispirato all’opera di Lewis Carrol
A proposito di Lewis Carrol, a cui accennavi prima, l’estate scorsa avete portato a Ravenna Festival Sylvie e Bruno…
“Sì, si tratta di un’opera scritta da Carrol nel 1893, l’ultimo prima della morte, che aveva l’ambizione di piacere sia agli adulti che ai bambini, riuscendoci solo in parte, secondo me. Racconta di due storie che accadono in parallelo, una calata nella realtà sociale del tempo e l’altra in un mondo fantastico. Indaga la dimensione del sogno e per questo, è venata di un surrealismo che abbiamo cercato di far rivivere in scena, senza affidarci però alle immagini e ad una scenografia invasiva. Al contrario, abbiamo ridotto tutto all’essenziale con pochi elementi sul palco, dove i nostri attori Andrea Argenteri, Marco Cavalcoli e Roberto Magnani (oltre a me) entrano ed escono da questi due mondi. Abbiamo voluto rappresentare una sorta di stato di dormiveglia, in cui l’io è meno vigile ma non del tutto addormentato, come spesso può capitare e soffermarci su questa straordinaria dimensione che è l’inconscio”.
Nella cover: I libri di Oz in scena, photocredit Luigi De Angelis