Nei nostri articoli lo abbiamo detto un sacco di volte e non ci stancheremo mai di ripeterlo:
Il Teatro è salutare.
Fa bene all’anima.
E tutti possono fare teatro.
Fare teatro ci permette di esplorare i lati più nascosti della nostra personalità, ci permette di conoscerci più a fondo.
Il Teatro può assumere un ruolo importante nell’educazione di bambini e adolescenti. E allora, quanto può essere importante per delle persone rinchiuse in un carcere?
Tanto.

Grazie al film “Cesare deve morire” (vincitore del Leone di Berlino) l’argomento del Teatro in Carcere inizia ad essere conosciuto anche dai non addetti ai lavori. Ma forse la maggior parte delle persone ancora poco sa dell’aspetto rieducativo e di reinserimento nella società che il teatro assume nelle carceri.
Il presupposto del Teatro in Carcere è quanto di più nobile si possa concepire: tutti possono avere una seconda occasione per riscattarsi, anche chi è rinchiuso in carcere perché è un criminale.
E, bada bene, non si tratta solo di saper perdonare chi ha sbagliato. Si va oltre al semplice perdono.
L’intento è insegnare a chi ha sbagliato qualcosa di più su se stesso. Portarlo ad una sorta di rinascita, dopo la quale può reinserirsi nella società. Può tornare a far parte della comunità.
E tutto questo è possibile grazie ad un’arte tanto profonda come appunto è il teatro.
La Preistoria del Teatro in Carcere.
Probabilmente se oggi in Italia esiste il Teatro in Carcere, il merito va a Rick Cluchey, un ergastolano.
Nel 1957 Rick rimase folgorato dalla messinscena di “Aspettando Godot” della San Francisco Actor’s Workshop all’interno del carcere californiano San Quentin.
Rick Cluchey e la sua “San Quentin Drama Workshop”
Prima di allora, i suoi contatti col teatro si riducevano alle solo recite scolastiche in occasione di Natale e Pasqua.
Inoltre lo stesso testo di Beckett, tutto giocato sull’attesa, fu particolarmente azzeccato per un pubblico di detenuti.
Come infatti lo stesso Cluchey disse in un’intervista rilasciata al giornale “La Repubblica” il 4 novembre 1984, la vita del carcerato è un’eterna attesa. Consiste nell’ “aspettare la fine della pena, aspettare le visite dei parenti, aspettare il rancio o semplicemente aspettare dietro le sbarre”.
Lo spettacolo ebbe un impatto così forte sul giovane ergastolano, che pochi mesi dopo decise di fondare la compagnia teatrale “San Quentin Drama Workshop” coinvolgendo alcuni degli altri detenuti.
Rick Cluchey inizialmente allestì solo alcune delle opere di Samuel Beckett all’interno delle mura carcerarie del San Quentin, ottenendo un grande successo.
I carcerati-spettatori rimasero entusiasti delle messinscene della compagnia, perché davano voce a quello che ognuno di loro provava a vivere dietro le sbarre.
Anche alcuni critici teatrali assistettero a queste messinscene. Rimasero sbalorditi dalla forza con cui Cluchey e i suoi carcerati-attori riuscirono a rappresentare l’essenzialità dei personaggi di Beckett. Il loro essere ai margini della società.
Il nome di Rick Cluchey presto divenne famoso, anche al di fuori delle mura carcerarie del San Quentin.
L’ergastolano Rick aveva ancora tanto da esprimere attraverso il teatro. E così, quando nel 1966 venne rilasciato sulla parola per meriti artistici, iniziò una tournée con altri ex-detenuti nel Nord Europa e poi in alcune capitali europee. Fuori dal carcere allestì alcune opere di Samuel Beckett, ma anche un’opera teatrale scritta di suo pugno “The Cage”.
Rick inoltre riuscì ad instaurare un forte sodalizio artistico con il suo idolo, il drammaturgo Samuel Beckett.
La fama di Rick Cluchey raggiunge l’Italia.
Il sodalizio tra Cluchey e Beckett ben presto portò i suoi frutti. Nel 1984, il Pontedera Teatro organizzò la tournée “Beckett directs Beckett”, portando in tutta Italia le messinscene della “San Quentin Drama Workshop”. E fu così che anche da noi finalmente si creò un vivo interesse nei confronti di ciò che di buono e straordinario può fare il teatro in carcere.
Prima di allora si ebbero poche esperienze teatrali, tra cui quella di Renato Vannucchi nel carcere di Rebibbia. Solo in seguito alla tournée “Beckett directs Beckett” queste esperienze teatrali vennero replicate dallo stesso Vannucchi e vennero portati avanti progetti simili, in altre carceri d’Italia.
Il Terreno di sviluppo del teatro in carcere.
Prima di parlare dell’importanza del Teatro in Carcere oggi, penso sia giusto far un passo indietro. E’ necessario, cioè, analizzare a grandi linee quale sia stato il terreno di sviluppo delle esperienze di Teatro in Carcere.
I movimenti giovanili degli anni settanta e una nuova visione del carcere.
In Italia, tra la fine degli anni sessanta e l’inizio degli anni settanta si sviluppò un importante movimento giovanile di protesta, così come in altre parti d’Europa e negli Stati Uniti.
L’obiettivo comune di questi movimenti era l’opposizione alla ormai obsoleta idea di società degli adulti di allora. Sotto il punto di vista politico, questi movimenti giovanili hanno avuto sostanzialmente poco successo. Il loro contributo però rimane fondamentale per la formazione etica e morale della società in cui viviamo oggi.
E’ proprio all’interno di tale fermento giovanile, che si è andato a sviluppare negli anni settanta un movimento carcerario che chiedeva misure alternative alla detenzione. E quindi anche l’idea di un carcere che non sia solo detentivo, ma anche un modo per rieducare e reinserire nella società i detenuti.
Il sistema carcerario in Italia, in quegli anni, era sostanzialmente ancora simile a quello presente nell’Italia durante il ventennio fascista. Un carcere, quindi, detentivo e segregante.
Grazie invece al movimento carcerario, in Italia a partire dal 1975 vennero varate le prime leggi volte a riformare il sistema detentivo. Si diffuse così l’idea che la detenzione non è solo una pena, ma anche occasione di rieducazione e quindi reinserimento nella società del detenuto.
La Legge Gozzini.
In tal senso, fu la legge Gozzini del 1986 ad essere particolarmente importante, visto che il suo obiettivo era rendere il carcere meno segregante. Con la legge Gozzini si ha la convinzione che tutti i carcerati, anche quelli condannati alle pene più lunghe per i reati più odiosi, possono essere inseriti in un programma riabilitivo per tornare a far parte della comunità.
Sotto quest’ottica vengono quindi organizzati contesti all’interno delle carceri attraverso cui è possibile rieducare i detenuti con attività culturali e artistiche.
In questi ambienti, il carcerato ha la possibilità di entrare in contatto con realtà differenti da quella di provenienza, che spesso è la causa principale per cui la persona ha intrapreso una vita criminale.
Il provvedimento Gozzini è ancora oggi il punto di riferimento per portare avanti attività trattamentali per il reinserimento in società del detenuto, nonostante abbia subito nel corso degli anni diverse variazioni (e anche dei ridimensionamenti dopo i terribili attentati ai danni di Borsellino e Falcone).
Ed è ovvio che, in un contesto del genere, ha trovato sviluppo il Teatro in Carcere.
Il Teatro in Carcere oggi.
Ad oggi, il Teatro in Carcere è una pratica formativa ormai consolidata, presente in molteplici luoghi di detenzione sparsi su tutto il territorio nazionale.
Nel sito del Ministero della giustizia, infatti si legge che “l’esperienza del gruppo teatrale consente di sperimentare ruoli e dinamiche diversi da quelli propri della detenzione, sostituendo i meccanismi relazionali basati sulla forza, sul controllo e sulla sfida con quelli legati alla collaborazione, allo scambio e alla condivisione.”
Ad oggi, l’esperienza del Teatro in Carcere non assume più solamente un ruolo di formazione artistica del detenuto, ma anche un modo attraverso cui poter offrire comptenze tecnico/professionali.
Il Teatro in Carcere, presente in Italia ormai dai primi anni ottanta del secolo scorso, è entrato a far parte integrante del teatro civile italiano.
Particolarmente interessanti sono le esperienze teatrali di Armando Punzo, con la sua Compagnia della Fortezza all’interno del carcere di Volterra, e quelle di Laura Andreini e Fabio Cavalli con le Compagnie del Teatro Libero di Rebibbia.
Il loro contributo è talmente importante, che le loro metodologie di lavoro e le loro opere sono apprezzate e studiate a livello internazionale.
L’Attiva collaborazione dell’Amministrazione Penitenziaria.
Rispetto al passato, lo stesso Dipartimento dell’ Amministrazione Penitenziaria collabora attivamente alla realizzazione di progetti teatrali all’interno delle carceri.
Negli ultimi anni il suo impegno si è indirizzato anche verso l’obiettivo di far uscire l’esperienza del Teatro in Carcere dalle mura pentitenziarie, con l’avvio di collaborazioni con gli enti locali e culturali.
Tra queste, particolarmente importante è il protocollo d’intesa avviato nel 2003, con il Coordinamento Nazionale Teatro in Carcere, e esteso all’Università Roma Tre nel 2004.
L’obiettivo di questo protocollo è promuovere in maniera più organica le attività di studio, di coordinamento e di ricerca nei confronti del Teatro in Carcere. Inoltre permette anche l’organizzazione nelle carceri di esperienze cinematografiche e altre tipologie di forme culturali e artistiche.
Tale collaborazione inoltre, su iniziativa del Coordinamento nazionale del 2014 e del teatro Aenigma, promuove la celebrazione della Giornata Nazionale del teatro in Carcere, ogni 27 Marzo, in concomitanza con la giornata mondiale del teatro.
E infine grazie anche all’Amministrazione Penitenziaria, il Coordinamento nazionale realizza ogni anno l’importante Rassegna Nazionale di Teatro in Carcere “Destini Incrociati”, con il sostegno del MiBACT.
Il Teatro nobilita l’uomo.
Il teatro è importante per l’essere umano. Lo è sempre stato, anche se in modo differente a seconda dei tempi. Il suo ruolo infatti non è mai lo stesso, ma cambia a seconda della società e dell’epoca storica in cui è inserito.
E il ruolo che assume oggi è straordinariamente importante. Il teatro, insieme all’arte e alla cultura, è oggi un’ancora di salvezza.
Il Teatro è entrato, giustamente, nelle carceri risollevando spesso le sorti a chi altrimenti continuerebbe a condurre una vita da criminale. Certo, il teatro non è una formula matematica, e non sempre riesce in questo suo nobile intento, ma è anche vero che regala qualcosa in più, a livello umano, perfino al criminale più infimo.
Il Teatro nobilita l’uomo.
Se il teatro può salvare un delinquente dalla sua stessa natura, riesci a immaginare quanto può nobilitare chi non ha mai commesso nessun crimine?
Io sì, ci riesco. E infatti non mi stanco mai di suggerire a chiunque di fare Teatro. Proprio perché so quanto il teatro faccia bene, che vorrei far fare recitazione a mia figlia.
E è per questo motivo che ho un piccolo grande sogno: il Teatro nelle scuole.