Il cinema è pieno di storie horror, adatte per il periodo più spaventoso dell’anno. Tuttavia, esistono anche nella tradizione teatrale, storie e personaggi che ben si adattano al clima orrorifico di Halloween.
Una di queste è senza dubbio “La tragica storia del Dottor Faust“, il dramma più famoso e rappresentato di Christopher Marlowe.
Un dramma dove il male assume forme inaspettate e che sembra suggerirci chei veri diavoli e demoni non sono quelli che stanno all’inferno.
La trama di “La tragica storia del Dottor Faust”
Protagonisti di quest’opera sono il dottor Faust del titolo e un demone, il diavolo Mefistofele.
Marlowe, fin dalle prime battute della tragedia, ci dà un’idea piuttosto chiara di che tipo di uomo sia il dottor Faust. Ci fa capire, fin da subito, che è una persona che, nonostante le sue umili origini, è riuscito a frequentare l’università, ad istruirsi e a diventare un uomo di scienza ammirato e rispettato da tutti.
Tuttavia, la sua ambizione e la sua sete di conoscenza sono enormi e ben presto si rende conto di quanto la conoscenza umana sia limitata.
Il patto col diavolo
Faust studia a fondo la necromanzia, deciso com’è a evocare un demone che possa fornirgli la conoscenza che tanto desidera.
E così, nel corso del primo atto il dottor Faust riesce ad evocare nel suo studio il diavolo Mefistofele, revocando con un cerchio magico il battesimo ricevuto da bambino.
il protagonista, proprio tramite il diavolo Mefistofele stipula un contratto con Lucifero in persona: Faust potrà vivere ventiquattro anni sulla Terra avendo come servo personale il diavolo Mefistofele che dovrà soddisfare tutte le sue richieste e rispondere a tutte le sue domande relative alla conoscenza.
In cambio, passati i ventiquattro anni, l’anima di Faust sarà condannata in eterno all’inferno.
Da questo momento in poi ha inizio il tracollo spirituale del protagonista, nonostante i suggerimenti e i segnali che l’Angelo buono continuamente gli fornisce.
Faust è troppo ambizioso e avido di sapere per prendere in considerazione gli avvertimenti dell’Angelo buono.
E, quel che è peggio, è che è sempre perfettamente consapevole di quello a cui sta andando incontro. Ma è anche convinto che tutto questo valga la pena viverlo, perché in cambio potrà soddisfare la sua insaziabile brama di conoscenza.
Marlowe però, raccontandoci i successivi ventiquattro anni di Faust, ci mette al corrente anche di quanto in realtà Faust non compia mai le gesta così grandi e importanti che inizialmente era convinto di poter fare, grazie alle conoscenze fornite da Mefistofele.
In questi ventiquattro anni, infatti, Faust si limita a soddisfare tutte le sue voglie, anche quelle più terrene e carnali, beandosi del rispetto e del riconoscimento che gli altri gli rivolgono.
Rispetto e riconoscimento che si è guadagnato con l’inganno, facendosi aiutare proprio da Mefistofele.
La dannazione eterna di Faust
Si arriva così all’unico epilogo possibile. Passati i ventiquattro anni, Faust deve morire e dannare la sua anima.
Il nostro protagonista, che fino a questo momento si è dimostrato il più delle volte superbo e sprezzante nei confronti degli avvertimenti dell’Angelo buono, adesso ha paura di ciò che lo aspetta.
Sebbene, razionalmente, abbia sempre saputo che lo avrebbe atteso un’eternità di dolore all’inferno, è solo nei pochi istanti prima della morte del suo corpo, a rendersi davvero conto di quanto sia stato avventato sottoporsi ad un patto del genere.
Ma ha ancora un modo per salvarsi: a Faust basterebbe pentirsi del patto e di ciò che ha fatto per evitare un’eternità di sofferenze all’inferno.
Ma il nostro non si dimostra affatto pentito. Nonostante tutto, continua a perseverare in quelli che, secondo la tradizione della Bibbia, sono i peggiori vizi capitali di sempre: l’avidità e la superbia.
E così la tragedia si conclude con l’inevitabile dannazione eterna di Faust.
Il Dottor Faust e il Male
Quando ho letto la prima volta “La tragica storia del Dottor Faust” c’è una cosa che mi è saltata subito agli occhi.
Marlowe ha impostato la storia e i dialoghi, in modo tale da far provare, per assurdo, più empatia nei confronti del diavolo Mefistofele piuttosto che nei confronti di Faust.
Anzi, a dirla tutta, Faust è costruito in modo tale da essere molto difficile una identificazione con lui da parte del lettore e dello spettatore.
Inoltre, non solo l’Angelo buono ma perfino lo stesso diavolo Mefistofele sembra mettere in guardia Faust dal suo proposito, dicendogli chiaramente quanto soffrano le anime dei dannati all’inferno.
Ma l’avidità di conoscenza e poi, soprattuttol’incredibile superbia di Faust sono così estremi, da renderlo un personaggio antipatico e con cui è davvero difficile empatizzare.
Nonostante la presenza di demoni, diavoli e di Lucifero in persona, Marlowe sembra dirci che in verità l’uomo è l’unico essere davvero cattivo.
L’ essere umano è l’unico vero responsabile del male che compie e quindi l’unico artefice del proprio destino.
L’inferno non ha limiti e non è circoscritto In un unico luogo; perché dov’è l’inferno, lì noi sempre saremo.
E quindi, se il male alberga in tutti noi, allora l’inferno è sulla Terra, perché nell’animo umano, accanto ad un angelo buono vive anche il diavolo. E sta ad ognuno di noi decidere chi ascoltare.
Marlowe ha perciò scritto, sul finire del Cinquecento, un’opera molto profonda, lasciando trapelare una lucida conoscenza della natura umana.
Una conoscenza decisamente moderna e all’avanguardia allora e, purtroppo, fin sempre troppo attuale oggi.